Fin da quando ero bambina sono una frequentatrice del Salone del libro di Torino. Dai libri di Geronimo Stilton e gli spazi per bambini sono passata ai romanzi gialli classici. All’inizio era un semplice divertimento che con il tempo si è tramutata in una vera passione grazie all’amore per la lettura di mia madre.
Passeggiando per le stanze virtuali del salone di questa edizione 2020, mi sono fermata ad ascoltare l’intervento di Nadia Fusini che trattava l’importanza delle stanze nei libri di Virginia Woolf.
In questo momento in cui siamo costretti a restare nelle nostre case per proteggerci dalla pandemia e le viviamo quasi come prigioni, mi ha incuriosito ascoltare un punto di vista diverso.
Virginia Woolf aveva un’idea quasi sacra della casa, era il luogo in cui poter accogliere e condividere con gli altri. Una condivisione da intendersi non solo a livello di spazi e oggetti ma, soprattutto, di tempo da dedicare agli ospiti per creare relazioni e far crescere gli affetti e le amicizie.
Le stanze sono però, per l’autrice, anche luoghi in cui potersi ritirare in solitudine per scrivere, uno spazio creativo lontano dagli obblighi della quotidianità.
Molte delle ambientazioni dei romanzi della Woolf valorizzano le stanze; da “Gita al faro” in cui la casa è il luogo fondamentale di incontro della famiglia Ramsey, a “La signora Dalloway” in cui il gesto di aprire le finestre per iniziare la giornata simboleggia l’apertura al mondo… proprio quella che noi stiamo faticosamente attendendo in questi giorni!
Sono sempre stato affascinato dal vento. Invisibile fino a quando non incontra un ostacolo pronto a svelarlo che sia un aquilone, un campo di grano o dei panni stesi ad asciugare, eppure capace di produrre grandi mutamenti. Se fino ad un certo punto la mia vita è stato un navigare tutto sommato tranquillo, l’annuncio della trisomia 21 di Anna, come una folata di vento che gonfia le vele all’improvviso, mi ha dato una sferzata che per un po’ mi ha fatto perdere l’orientamento. Un cambio di rotta cui non ero preparato e che mi ha insegnato che, anche quando la destinazione è ormai in vita, nuove nuvole possono annebbiare l’orizzonte, costringendoci a riconsiderare i nostri piani.
In questo libro, Guido Marangoni parla di un viaggio, del suo viaggio fisico che lo ha portato in molti luoghi d’Italia e non solo, ma soprattutto del suo viaggio interiore fatto di incontri, di osservazione e di ascolto.
Ogni incontro narrato porta con sé qualcosa di speciale, una riflessione sulle fragilità di ciascuno, un cambio di prospettiva che aiuta ad accettare le diversità e a vedere con occhi nuovi le difficoltà e gli ostacoli che la vita ci pone, inaspettatamente, sul cammino.
Le pagine scorrono veloci, ma spesso ci si può trovare a tornare indietro, a rileggere un passaggio che ad una prima lettura ha lasciato una sensazione di disagio, come se dietro alle parole leggere ci fosse un significato nascosto da cogliere.
È un libro da leggere con leggerezza, da non confondere con la superficialità. Come dice lo stesso autore “la leggerezza […], a differenza della superficialità, sa essere molto profonda”, ci permette di riflettere su argomenti complessi, a volte anche scomodi come la morte, senza cadere nella retorica, avendo il coraggio di affrontarli da prospettive nuove, e di condividerli con gli altri, dando e ricevendo sostegno.
Due sono gli aspetti che più mi hanno colpito e fatto riflettere. Il primo è il tema dell’imbarazzo; nella nostra società è visto come un momento negativo, da evitare o, almeno, da nascondere, mentre Marangoni lo rivaluta come momento di crescita, di cambiamento, come possibilità di cogliere un disagio e trasformarlo in qualcosa di diverso che possa aiutare non solo chi lo prova, ma anche chi lo ha (involontariamente o non) generato. Il non prendersi troppo sul serio, trasforma l’imbarazzo in una grande opportunità di incontro.
Il secondo aspetto è la rivalutazione della banalità. In un mondo in cui tutti siamo chiamati ad eccellere, la banalità è sottovalutata; l’autore, al contrario, la ritiene pregna di verità, a volte scomode, che non siamo più abituati ad affrontare.
È un libro che affronta temi complessi ma che lascia al lettore molto: l’ottimismo di sapere che, se siamo pronti a condividere le nostre fragilità, troveremo persone in grado di aiutarci; la speranza che gli ostacoli che incontreremo potranno essere occasioni per cambiare rotte e percorrere sentieri che ci arricchiranno; la voglia di reagire, di essere noi stessi il motore del cambiamento; la forza per trovare e accettare punti di vista differenti dai nostri da cui partire per nuovi viaggi; e un po’ di sana pazzia, quella che ci permette di mostrarci come siamo, senza paure o imbarazzo, sperando di essere un buon esempio per gli altri.
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