Luoghi di libri

Gian Arturo Ferrari – Ragazzo italiano

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Ninni è il piccolo grande protagonista di questo meraviglioso romanzo di formazione. Nato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, attraversa, crescendo, la ricostruzione del dopoguerra, la difficile rinascita, la disperata corsa alla ripresa. Li vive sulla propria pelle, li guarda attraverso gli occhi del bambino – poi del ragazzino e del giovane uomo- che si divide tra la sua casa con i genitori e la sorella, prima a Zanegrate, poi a Milano e la casa di campagna a Querciano, con la nonna. Figura, quest’ultima, determinante per la sua crescita: donna di altri tempi, cresciuta in una società gerarchica agricola, ancorata alle convenzioni sociali del passato, refrattaria alla modernizzazione che inevitabilmente avanza, ma colma d’amore per il nipote, figlia e madre di maestre e maestra lei stessa. E’ lei che per Ninni, più di chiunque altro incarna il concetto di amore e, soprattutto, quello di un accudimento, che l’autore definisce con un aggettivo straordinariamente realistico: “ feroce”. Questa donna estremamente forte protegge il suo cucciolo, lo fa sentire al sicuro più di chiunque altro, permettendogli quasi inconsapevolmente di sviluppare le sue vere potenzialità, represse dal rapporto con un padre che è certamente centrale nel nucleo familiare per la difficoltà che tutti paiono avere nel rapportarsi a lui, ma emotivamente assente, in particolare per Ninni, quel figlio gracile e delicato che così tanto si allontana dalle sue aspettative e dal suo modo di essere.

Gli anni passano e Ninni diventa un ragazzo che finalmente trova il suo posto nel mondo, ma non si tratta di un luogo fisico: quel posto è nei libri che scopre nei lunghi pomeriggi a Querciano; è nella consapevolezza di appartenere ad un gruppo di persone che condividono il suo stesso interesse, la sua passione, la sua curiosità.

Alla descrizione del preside del liceo che Ninni frequenta è affidato uno dei concetti, secondo me, cardine del filo conduttore della formazione e della crescita del protagonista: “…spendeva soldi e comprava libri per non farli restare a prendere polvere sugli scaffali, diceva. Però non bastava, bisognava anche far capire che la cultura era una cosa viva, non una statua, ma il contrario, una specie di mostro marino che si divincola da tutte le parti, che tocca tutto, che c’entra con tutto.

La cultura, dunque, al centro di tutto; la cultura come vero strumento di crescita nel caos delle nuove possibilità affidate al guadagno, alla comparsa dei primi elettrodomestici, all’inizio del nuovo benessere economico che concentra l’attenzione sulla possibilità di comprare mobili, andare in villeggiatura, possedere uno dei primi apparecchi televisivi da sfoggiare con il vicinato, e allontana l’uomo da se stesso e dal suo mondo interiore. Una società nuova che non si cura dell’anima, ma del corpo e della mera apparenza; che costringerebbe Ninni ad essere ciò che non è, se non fosse per la forza che trae dall’aver trovato animi simili al suo.

Siamo lontani temporalmente da quegli anni, ma forse non siamo cambiati molto e dovremmo prendere un po’ di più esempio da Ninni, dalla sua forza di andare contro corrente coltivando la medesima curiosità insaziabile per la bellezza interiore e per il sapere, che sono le uniche vere armi per una reale e duratura ripresa.

 

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Sandro Veronesi – Il colibrì

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Ho letto “Il colibrì” qualche mese fa, ma in questi giorni così particolari, di difficoltà “emotiva” personale e collettiva, mi è capitato spesso di ripensarci.

Della leggerezza che l’immagine del colibrì evoca, Marco Carrera, protagonista del nuovo romanzo di Sandro Veronesi, ha ben poco: immobile, mentre tutti intorno a lui sembrano muoversi continuamente, si affannano, cambiano, se ne vanno, qualche volta ritornano, altre lo abbandonano per sempre.

E così il colibrì cresce velocemente, catapultato nella vita adulta dai farmaci per l’aspetto fisico, ma soprattutto, emotivamente, dalla amata sorella Irene, suo esatto opposto: mai quieta, mai ferma, alla continua ricerca di qualcosa che non trova, sempre in precario equilibrio sull’orlo di un baratro in cui le diventa inevitabile precipitare. Ma così non è per Marco, che è sempre lì, pesante, saldo: ma quanta fatica gli costa? Quanto velocemente deve sbattere le ali questo uccellino, per rimanere fermo mentre attraversa la vita propria e si lascia attraversare da quella altrui senza soccombere, trovando, anzi, la forza per essere “motore” della propria rinascita, una volta capito qual è il suo reale “scopo”. Marco lo scopre improvvisamente e vi si dedica con tutto se stesso, superando tutte le difficoltà e tutti i colpi, anche quelli più duri, che la vita gli infligge, senza mai lasciarsi abbattere, rimanendo lì, a mezz’aria, apparentemente immutato.

Un romanzo che tanto ha da insegnarci sulla forza necessaria per guardare dentro se stessi e ripartire senza rinnegarci, senza cedere al vittimismo, anche quando tutto sembra crollarci addosso. Una storia che parla in modo delicato e potente di “resilienza”, termine quantomai usato e abusato in questi giorni.

 

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Maurizio de Giovanni – Dodici rose a Settembre

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Ho conosciuto Maurizio de Giovanni leggendo “Sara al tramonto” e da quella donna silenziosa e invisibile sono stata immediatamente affascinata. Ora ho trovato un personaggio che è una sorta di suo opposto, ma altrettanto magnetica: (Gelso)Mina Settembre passa tutt’altro che inosservata, non solo per le sue caratteristiche fisiche, ma soprattutto per la sua determinazione e la capacità di andare fino in fondo, con una buona dose di incoscienza, perché mossa da un cuore grande.

La storia è una miscela ben calibrata di comicità e serietà, con una sfumatura noir che, sapientemente dosata, non guasta affatto; il tono della narrazione è più spesso quello della commedia, facendosi però adeguatamente grave quando l’occhio si rivolge al tema così tristemente attuale della violenza domestica.

Corriamo con Mina contro il tempo, per salvare una donna e sua figlia, ci intrufoliamo con loro nelle strade e nei vicoli e parallelamente corriamo con i Carabinieri e il magistrato che indagano su delitti dai contorni inquietanti. Due modi completamente diversi di condurre le ricerche: istinto e passione Mina, rigore e logica il magistrato De Carolis; alla fine, con un meccanismo di incastri perfetti, ci ritroviamo sulla stessa via.

Intanto, intorno ai protagonisti, ruota una costellazione di personaggi seri e semiseri, che in alcuni casi sono delle vere e proprie caricature e che ben rappresentano i mille volti di Napoli. Qualcuno di loro, così come è stato per Sara, è riuscito a passare attraverso le pagine e a rimanere in impresso nella mia memoria: come scordare «Rudy» Trapanese, che quando parla sembra rivolgersi solo ed esclusivamente alle forme di Mina; e come non rimanere toccati in maniera indelebile da Flor, fin dalla sua prima apparizione: «Mi chiamo Flor, ho undici anni, e sono qui perché penso che mio padre ammazzerà mia madre».

Come al solito De Giovanni scrive di loro e di tutti gli altri, con la sua innata capacità di rendere con delicatezza e ironia tutte le sfaccettature dei sentimenti e dei desideri umani; altrettanto vividamente, ogni volta riesce a evocare colori, strade, rumori, voci, silenzi e caos, dandoci un assaggio di tutte le anime di una città così unica, dal fascino senza tempo. E per me, che di Napoli mi sono innamorata al primo incontro, questo è uno degli aspetti più coinvolgenti di tutti i suoi romanzi.

 

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Giampaolo Simi – I giorni del giudizio

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Dire che Giampaolo Simi è tra le voci migliori e più articolate dell’attuale e variegata compagine gialla italiana sembra quasi scontato. Chi ha letto i suoi libri – Cosa resta di noi, La ragazza sbagliata, Come una famiglia, solo per citare gli ultimi – sa bene quanto Simi sia abile a mescolare una trama gialla con il contesto sociale in cui si svolge, a indagare in modo acuto e talvolta spietato non solo sul delitto, ma sulle vite dei personaggi: la loro provenienza sociale, le passioni e le vigliaccherie, le storie personali e i drammi interiori.

I giorni del giudizio potrebbe definirsi un legal thriller poiché gran parte del romanzo altro non è che lo svolgersi del processo contro Daniel Bonarrigo, proprietario della catena ‘Italian food&more’ costituita da ristoranti sparsi nel mondo dove è possibile gustare l’eccellenza del cibo italiano, accusato di aver ucciso la moglie Esther e il presunto amante di lei, il giovane Jacopo Corti. Un delitto efferato, un massacro a colpi di lama avvenuto nella meravigliosa Villa della Lucchesia di proprietà della coppia Bonarrigo, La Falconaia.

Chiamati a costituire la giuria popolare della Corte d’Assise che deciderà della colpevolezza o dell’innocenza del Bonarrigo, sei personaggi. La bibliotecaria ultracinquantenne Iris, l’infermiere in precoce pensione Terenzio, lo youtuber ed esperto di videogiochi italiano ma nato in Scozia, Malcolm, l’emigrato ora cittadino italiano Ahmed, la ex Miss proprietaria di una boutique di lusso a Viareggio, Emma e per finire la trentenne eternamente precaria Serena. Sei italiani diversissimi fra loro, ma rappresentativi, ciascuno a proprio titolo, del nostro Paese.

Dopo l’iniziale resistenza a ricoprire l’incarico per il quale sono stati sorteggiati, li vedremo interagire con la giudice Nicola e il giudice a latere Fassi, prodighi di spiegazioni sullo svolgersi del processo, il formarsi delle prove e il modo in cui ci si aspetta che una giuria prenda le proprie decisioni nei confronti dell’accusato. E qui, per i profani della materia, si apre un mondo che Simi è bravissimo a descrivere e spiegare senza mai, neppure per un istante, annoiare il lettore. Intorno al processo si accaniscono televisioni, stampa e opinione pubblica come tante volte abbiamo visto accadere. Difficile per i giurati mantenersi al di sopra della mischia e della ridda di ipotesi e illazioni che li bersagliano da ogni parte. Difficile persino sfuggire ai tentativi mirati a influenzare alcuni membri della giuria, visto che dietro il presunto colpevole c’è un impero economico di grande entità.

Ma la grande bravura di Simi risiede nel raccontarci tutto questo, e molto di più, attraverso ogni singolo giurato. Quanto la vita di ciascuno di loro, le esperienze passate e presenti, i rapporti umani che si instaurano poco a poco nel piccolo gruppo saranno determinanti nell’influenzare la decisione finale? Sei esseri umani i quali, ciascun giorno della loro vita, devono non solo occuparsi di stabilire, seguendo il dibattimento processuale, l’innocenza o la colpevolezza di un altro essere umano, ma nel contempo sbrogliare la contorta matassa delle proprie esistenze: le difficoltà incontrate sul lavoro, un matrimonio che non sta più in piedi, un passato fatto di sogni non realizzati e un presente grigio e deprimente, l’incomunicabilità e il disamore di figli e compagni, la solitudine scelta o che li ha scelti. Sei esseri umani, un microcosmo che nelle sue passioni e reazioni rappresenta uno specchio impietoso dell’umanità intera.

Sei esseri umani che finiranno per ritrovarsi, d’improvviso e vista la risonanza mediatica del processo, sotto i riflettori con tutto ciò che questo comporta, nel bene e nel male.
Il racconto del processo e delle vite dei giurati offre all’autore una splendida occasione per narrare un’Italia stremata e confusa, arrabbiata e assetata di una giustizia di cui, alla fine, poco si sa, vuoi per ignoranza, vuoi per la complicazione nel capirne i meccanismi e quindi vituperata e disprezzata.

Un Italia che si riflette, come una metafora surreale, nei giorni frenetici dei Lucca Comics & Games, meravigliosa fiera della fantasia e del mondo virtuale dei videogiochi, descritta da Simi in modo magistrale. La grande fuga dalla realtà.

 

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Sakuraba Kazuki – Red girls

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Questo romanzo ha il sapore dei lungometraggi anime di Myazaki e compie un viaggio attraverso tre generazioni di donne giapponesi, a partire dal 1953. La nonna, Man’yō, una trovatella che viene cresciuta da una giovane coppia, nonostante quel suo “non so che di inquietante” che la rende “un pochino pochino diversa da noialtri”. Man’yō ha “la pelle nera e fisici robusti” e fa “strane predizioni” perché talvolta riesce a vedere eventi futuri.

Nella vita di Man’yō passano personaggi particolari, come Midori “dagli occhi sporgenti”, detta Telescopio, con la quale ha un rapporto conflittuale che muterà nel corso degli anni. Akakuchiba Yōji, un accanito lettore onnivoro, figlio di una ricchissima famiglia proprietaria della fonderia Tatara, che abita nell’enorme palazzo che sovrasta la piccola cittadina di Benimidori. Man’yō lo incontra per la prima volta per caso, durante un temporale, all’interno di un locale dove aveva trovato riparo e ne fa questa descrizione: “Illuminato dai riflessi della luna che filtravano attraverso il vetro della finestra, il volto bianco di quel ragazzo altissimo simile a una zucca a fiaschetta acerba e rinsecchita seduto di fronte a Man’yō brillò come la muta bagnata di un serpente albino”. Si sposa con lui nell’agosto 1963, in pieno boom economico giapponese, simile per molti aspetti a quello nostrano, dove è sovrana la cosiddetta “trinità”: televisione, lavatrice, frigorifero.

In realtà Man’yō è innamorata dell’uomo di una sua visione, che lei ha soprannominato Monocchio e al quale un giorno riuscirà a dare un vero nome.

La seconda generazione è quella della “pelosa” Kemari, secondogenita di Man’yō.
La piccola palla di pelo la stava fissando con sguardo affilato, e Man’yō lanciò un grido di spavento prima di perdere i sensi e crollare. Tatsu invece non poteva essere più allegra, e nel frattempo aveva già pensato al nome da assegnare alla nuova arrivata. Si sarebbe chiamata Kemari, “palla di pelo””.
La pelosa Kemari crescendo diventerà bella da mozzare il fiato ma con un carattere terribile e insopportabile. Una teppista che gira in moto con la sua gang di ragazze motocicliste, che ama fare a botte e si innamora solo di ragazzi bruttissimi. Kemari è la donna “temeraria e di ferro” che teme solo gli sgambetti delle anime dei defunti.

E infine c’è la terza protagonista, l’io narrante del romanzo.
E così siamo finalmente arrivati al presente. Io, Akakuchiba Tōko, la vostra narratrice, non possiedo nuove storie da raccontarvi. Dico sul serio, nemmeno una. Sono l’indegna nipote di Akakuchiba Man’yō”.

Mi sono divertita ed emozionata a leggere questa storia che ci avvicina a un Giappone che, per molti versi, è attraversato da eventi simili a quelli italiani: il boom economico e la successiva crisi, i problemi ambientali, le lotte studentesche, il bullismo, lo sfruttamento della prostituzione, la disoccupazione, la violenza giovanile, i pregiudizi di genere. E la vivace narrazione di Sakuraba Kazuki, cognome e poi nome, secondo l’usanza nipponica, ti trascina e ti fa amare tutti i personaggi, donne e uomini, pochi esclusi.

 

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