Giuseppe Catozzella – Italiana

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Ho già avuto modo di dire che le biografie non sono il mio genere preferito, ma anche questa volta mi sono imbattuta in un modo particolare di raccontare la storia di una vita. L’unità d’Italia, le condizioni della popolazione prima, durante e dopo l’arrivo di Garibaldi nel meridione, il brigantaggio con le sue origini e le sue ragioni, sono una pagina della storia del nostro paese tra le più controverse e, per questo, spesso ignorate. Giuseppe Catozzella ci porta proprio in quella che ancora non era l’Italia unita, nelle campagne, dove la gente vedeva nelle camicie rosse la possibilità di riscatto e uguaglianza, la fine della sudditanza ai ricchi padroni da cui veniva sfruttata. Ci racconta la storia di una bambina, che in quel clima cresce e diventa donna, in mezzo alla crudeltà della miseria, che non toglie solo il pane, ma porta via gli affetti e la dignità. Ci mostra fino a che punto l’indigenza o il terrore di ricaderci possono portare a cancellare anche i legami di sangue e rendere perfidi e vendicativi, disposti a sacrificare la propria famiglia pur di non privarsi degli agi. Ci descrive una elite di possidenti e nobili, che cambia faccia con il mutare dell’assetto politico e rimane sempre uguale a se stessa, riportandoci alla memoria le parole del principe Tancredi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Una lezione per l’epoca tristemente italiana, come “Italiana” è Maria Oliverio, che, invece, crede nel cambiamento radicale e lotta perché diventi reale, perché per lei e per quelli come lei, è l’unica possibilità di sopravvivenza.

Il racconto mescola verità storiche documentate alle tante leggende fiorite intorno alla figura di Ciccilla, nome assunto da Maria a capo di un banda di briganti, prendendola per mano da quando, bambina china sui libri, cerca l’emancipazione nella conoscenza, fino a quando, scontratasi per l’ennesima volta con la feroce invidia di chi le sbarra la strada, diventa una donna con una nuova miseria ad attenderla: quella della delusione e della violenza. E’ allora che Maria diventa Ciccilla, sui sentieri impervi della Sila, accompagnata dalla lupa che la segue ovunque, alla conquista di ciò che è “giusto”: “se ho usato un coltello per tagliarmi i capelli e mi sono vestita da uomo non è stato per essere come uno di loro. Se l’ho fatto è stato perché, senza, non mi sarei mai liberata. Senza, sarei rimasta Maria”.

L’autore delinea un periodo storico che non è solo lo sfondo, ma è il vero motore delle azioni dei personaggi, di cui emerge, nel bene e nel male, la profonda complessità della natura dell’animo umano: dalla perfida Teresa, al disperato Pietro che non pare non trovare pace se non nella guerra e nell’ira, a Maria stessa, dipinta dalla gente come “una specie di mostro, mezzo animale e mezzo donna, un essere che portava morte e distruzione, il terrore dei bersaglieri”.

Maria vive e muore sotto gli occhi del lettore, affidando il suo messaggio di speranza e forza, al vento in cui si disperde un grido: ”Italiana”, tanto più potente perché affidato a chi, pur distante e costretto a braccarla, ha conosciuto la sua indole libera e dà a quella parola il suo significato più vero e profondo.

Mimma

 

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