Luoghi di libri

Massimiliano Scuriatti – Le lacrime dei pesci non si vedono

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Augusta, costa siciliana nel siracusano, 1949. E’ il momento in cui l’economia del territorio si trasforma: la popolazione locale da sempre dedita alla pesca, all’agricoltura e alle saline incontra, o si scontra, con una nuova realtà, quella dell’industria. Nuovi stabilimenti petrolchimici sorgono e si impongono con prepotenza sulla vita da sempre immutata di quella parte di isola, con promesse di benessere, lavoro sicuro, remunerazione certa, che non dipendano più dai capricci del mare o del meteo.

Vittorio Alicata è un tredicenne che da pochissimo ha intrapreso la millenaria attività di pescatore, come suo padre e suo nonno. Prima pescava sull’imbarcazione del genitore, ora però è giunto il suo momento: suo padre gli ha accomodato un piccolo gozzo tutto suo, gli ha insegnato i rudimenti del mestiere e lo ha benedetto mettendolo in mare con un unico comandamento: rispettalo e il mare rispetterà te.

Le soddisfazioni per il ragazzino però saranno di breve durata: il pesce sta cambiando sapore, il cielo ha perso l’azzurro e il mare puzza di benzina. Per mantenere fede a questa promessa e per non spezzare il legame quasi fisico, oltre che spirituale, che lo lega all’elemento marino, quando vede le drammatiche trasformazioni provocate dall’industria petrolchimica alle acque, all’aria e alla fauna di Augusta, Vittorio non accetta di subire passivamente e si ribella. Con l’incoscienza e la supponenza della sua età, chiamiamole così, ma possiamo dire anche inesperienza, innocenza puerile o dabbenaggine, si butta a capofitto in un’impresa picaresca per sbattere – letteralmente – in faccia ai diretti responsabili le conseguenze della scellerata industrializzazione. Senza essersi mai allontanato prima dal suo paese, senza avvisare i genitori, con solo una scatola piena di pesci morti avvelenati, lo sprovveduto ragazzo parte alla volta di Milano con l’intenzione di incontrare Castelli, il direttore che aveva conosciuto quando era venuto come un imperatore in visita alla fabbrica. In un viaggio coraggioso quanto improvvisato, Vittorio conosce nuove persone, incontra figure diverse da quelle che è abituato a frequentare nel suo ristretto paesello e non sarà solo uno sguardo più allargato e consapevole quello che riporterà tornando a casa. Avrà anche l’amara certezza che a muovere gli intricati fili della politica e dell’alta finanza non sono visi e nomi noti e riconoscibili, ma ombre, alle quali risulta impossibile appellarsi per avere giustizia e rispetto.

La storia di Vittorio è la storia di tutta la Sicilia, una storia in cui si sono alternati “greci, arabi, francesi spagnoli, fascisti, americani… Tutta gente passata per prendersi un pezzo di noi e per lasciarci qualcosa di loro, che noi, però, non abbiamo mai chiesto”. Così in Vittorio rimangono molteplici tracce, come quella lasciata da suo padre, che non si è fatto capire subito ma che si è riscattato col tempo, la traccia delle malelingue che parlano degli Alicata come discendenti da sirene maledette o da chissà quali mostri marini (perché “da che gli esseri umani sono su questa terra in ogni paesuzzo e in ogni epoca c’è sempre stata una famiglia alla quale addossare le colpe di ogni disgrazia. Talvolta si è trattato di gruppi ben più consistenti di un esiguo nucleo familiare”). Addosso a Vittorio rimangono incollate le parole del professor Monaco, che gli fa la grazia di illuminarlo con il suo filosofare, “usando parole e concetti non consoni alla mia ignoranza, per quel suo credo secondo cui l’uomo che sta in basso deve spingersi verso l’uomo che sta in alto, ergersi sulla punta dei piedi se necessario, di modo che possa elevarsi”, e gli rimane anche la concreta disponibilità di aiutarsi di chi è compaesano in terra straniera, come dimostrano Cesare e Eduardo, i camionisti che lo raccolgono e lo “battezzano” alla strada.

Il gesto impulsivo del giovane ha naturalmente delle conseguenze prevedibili, come l’acredine verso la sua famiglia, osteggiata dagli augustani che temono di perder il posto di lavoro, l’ingratitudine dell’intera comunità, per un atto che era stato compiuto anche a suo beneficio. Tutta la buona volontà del nostro pescatore nulla può per rimediare al sovvertimento di un equilibrio ormai compromesso dalla trasgressione di quelle delicate leggi matematiche dell’universo che regolano il rapporto fra la natura e l’uomo, il quale, “trasformando l’ambiente circostante a proprio uso e consumo paga per un effimero momento di benessere il prezzo dell’eterna sofferenza”.

Ho trovato questa lettura molto intensa, coinvolgente e di estrema attualità, oltre che istruttiva.

Un pezzo di storia contemporanea che conoscevo poco o nulla, raccontata in maniera onesta e ben inserita nel quadro storico, che ci fa riflettere su temi quanto mai attuali, ora che l’attenzione verso le politiche green e le conseguenze dell’attività dell’uomo sull’ambiente sono all’ordine del giorno. Una riflessione sul futuro che non può prescindere da una profonda e attenta analisi del passato.

Manu

 

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Giampaolo Simi – Rosa elettrica

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Da piccola mi chiamavano la bambina elettrica.

Con questo incipit Giampaolo Simi inizia in tono quasi sommesso e persino tenero un romanzo giallo duro e spigoloso, spietato e intriso di molte, scomode verità.
Rosa, protagonista e voce narrante, è stata una bambina convinta di possedere la capacità di ricaricare batterie, una specie di superpotere. E forse ci sono momenti in cui ci crede ancora o almeno vorrebbe crederci. Fallito l’intento di laurearsi in filosofia con una tesi sul concetto di bene e male in Sant’Agostino, fallito il mobilificio del padre perché le banche gli hanno ritirato il credito, sparito suo fratello per rifarsi una vita lontano dalla famiglia, Rosa entra in Polizia e dopo tre mesi nella Stradale di Casale Monferrato, il Nucleo Regionale le affida un primo incarico da far tremare le vene e i polsi: deve fare la guardia a tale Daniele Mastronero, alias Cocíss, diciottenne, ‘capo zona di due piazze di spaccio, una decina di soldati, più i pusher, le vedette e le sentinelle’ definito dallo psicologo del Servizio Centrale di Roma: “…un soggetto spiccatamente antisociale, dai tratti paranoidi. Presenta forti scompensi umorali, probabilmente legati anche all’uso abituale di sostanze stupefacenti.” Il giovane capo di un quartiere ghetto del Sud Italia, dunque, che dopo l’arresto ha deciso di collaborare con la Procura e grazie al quale sono già stati effettuati diversi arresti.
Il sovrintendente Reja del Servizio Centrale di Protezione, d’accordo con il commissario capo D’Intrò, ha predisposto il trasferimento sotto copertura di Cocíss in una comunità di recupero nell’entroterra toscano. Compito di Rosa controllarlo e proteggerlo perché attraverso Cocíss, D’Intrò conta di arrivare alla cattura di uno dei nomi di spicco della criminalità organizzata legata allo spaccio di stupefacenti: il super boss Incantalupo, l’uomo senza volto.
Inizia così il travagliato e improbabile rapporto fra la trentenne, stanca e disincantata Rosa e il folle, schizzato Cocíss, accusato fra l’altro, da un certo momento in poi, di essere l’esecutore materiale di un efferato omicidio legato a regolamenti di conti fra cosche rivali, omicidio nel corso del quale hanno perso la vita due bambine innocenti. Ma è stato davvero lui a sparare? E perché, se tutti ne erano a conoscenza, sia D’Intrò che i mandanti malavitosi all’improvviso lo vogliono morto? Rosa è confusa, trascinata da quel diciottenne spavaldo, analfabeta e dislessico in una fuga folle e precipitosa in giro per l’Europa con la promessa di Cocíss di consegnarle Incantalupo sicuro che questo sia l’unico modo per rifarsi altrove una vita. Nei giorni della fuga, Rosa, sebbene prudente come un domatore di fronte a una tigre selvaggia, riuscirà a scorgere sotto la superficie scabra e corrotta di Mastronero, il ragazzo dimenticato da tutti, il giovane costretto a costruirsi una sua distorta morale e stralunata logica per affrontare la vita.

So che potrebbe avere in mente un piano che sfugge a me e anche a D’Intrò. So che non smetterà di combattere, anche se è rimasto da solo. Ma è un cane da combattimento, non sa fare altro, e per lui, in definitiva, combattere e vivere sono la stessa cosa.

Simi ha creato due personaggi vivi e indimenticabili avvinti da un legame intriso di sospetto, ma anche di complicità, pietà, accudimento e reciproco rispetto. Due mondi paralleli che per caso s’incontrano imparando ciascuno qualcosa dall’altro.

Scritto nel 2007, siamo felici di poter leggere oggi questo libro di rara intensità e concreta denuncia sociale. E, nelle parole dell’autore, lasciare senza un nome la città della piazza di spaccio ha un suo perché. È un ghetto-simbolo di una grande metropoli del Mediterraneo, orribile e segnato da profonda anomia e tanto basti.

Francesca

 

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Elia Zordan – Quattro passi, un respiro, Sulla banchina 17 e 50 [#audioteca]

Là, dove gli abbracci e le visite sono ancora vietati, dove l’isolamento genera solitudine e sconforto, il suono di una voce può essere determinante per alleviare il peso di una giornata altrimenti infinita. Una voce che arriva nitida e non filtrata da mascherine e visiere.

Quella voce, per noi e per voi, si nutre ovviamente di immagini tratte da libri e racconti. E’ la voce delle ragazze de Lo Scatolino di Ars e Corde, degli stessi autori e anche nostra, tutti meravigliosi interpreti di racconti. Come meravigliosi sono gli autori che, quei racconti, ce li regalano. E noi li regaliamo a voi, ovunque siate, affinchè possiate scacciare la noia e la solitudine in nostra compagnia.

Questo il nostro abbraccio virtuale per voi tutti.
Buon ascolto!

I racconti possono essere ascoltati direttamente su questa pagina oppure cliccando su è possibile scaricarli e ascoltarli più tardi.

12/05/2021

Sulla banchina 17 e 50 da Quattro passi, un respiro di Elia Zordan letto da Dante Bianchi

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Elisa Bedoni – Il vento non si arrende, Ricomporre i pezzi (capitolo 2) [#audioteca]

Là, dove gli abbracci e le visite sono ancora vietati, dove l’isolamento genera solitudine e sconforto, il suono di una voce può essere determinante per alleviare il peso di una giornata altrimenti infinita. Una voce che arriva nitida e non filtrata da mascherine e visiere.

Quella voce, per noi e per voi, si nutre ovviamente di immagini tratte da libri e racconti. E’ la voce delle ragazze de Lo Scatolino di Ars e Corde, degli stessi autori e anche nostra, tutti meravigliosi interpreti di racconti. Come meravigliosi sono gli autori che, quei racconti, ce li regalano. E noi li regaliamo a voi, ovunque siate, affinchè possiate scacciare la noia e la solitudine in nostra compagnia.

Questo il nostro abbraccio virtuale per voi tutti.
Buon ascolto!

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14/04/2021

Ricomporre i pezzi (capitolo 1) da Il vento non si arrende di Elisa Bedoni letto da Loredana Zapparoli

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Elisa Bedoni – Il vento non si arrende, Ho rinunciato al meglio (capitolo 1) [#audioteca]

Là, dove gli abbracci e le visite sono ancora vietati, dove l’isolamento genera solitudine e sconforto, il suono di una voce può essere determinante per alleviare il peso di una giornata altrimenti infinita. Una voce che arriva nitida e non filtrata da mascherine e visiere.

Quella voce, per noi e per voi, si nutre ovviamente di immagini tratte da libri e racconti. E’ la voce delle ragazze de Lo Scatolino di Ars e Corde, degli stessi autori e anche nostra, tutti meravigliosi interpreti di racconti. Come meravigliosi sono gli autori che, quei racconti, ce li regalano. E noi li regaliamo a voi, ovunque siate, affinchè possiate scacciare la noia e la solitudine in nostra compagnia.

Questo il nostro abbraccio virtuale per voi tutti.
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07/04/2021

Ho rinunciato al meglio (capitolo 1) da Il vento non si arrende di Elisa Bedoni letto da Loredana Zapparoli

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