Virginia Woolf – Una stanza tutta per sé

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A cavallo tra le due Guerre, c’era una donna, una scrittrice, romanziera e saggista inglese, vanto della letteratura britannica, che si batteva per i diritti delle donne. Non era una figura imponente, niente affatto: slanciata ma molto molto magra, continuamente in preda a sbalzi d’umore, dubbi ed esaurimenti nervosi, Virginia Woolf rappresenta una delle anime più fragili, sensibili e meravigliosamente complicate della Letteratura del ‘900. Un essere complesso e dalle mille sfumature, così delicata nell’animo da percepire minacce che la gente comune ancora non vedeva. Si tolse la vita il 28 marzo del 1941, prima che la Guerra potesse manifestarsi in tutto il proprio orrore.

Folle tra i sani e sana tra i folli: mi è sempre piaciuto immaginarla così. Combattente per i diritti concreti delle donne nei saggi dedicati alla loro indipendenza e visionaria mistica per nei suoi romanzi.

Tra i numerosi scritti, Virginia Woolf ci lascia un saggio più che mai attuale, “Una stanza tutta per sé”. In questo periodo in cui si parla ancora di femminicidio, in cui la parità di stipendio a parità di titolo di studio e mansione è ancora un miraggio e sembra si debba scegliere tra la gratificazione professionale e quella familiare, avere per le donne, una stanza tutta per sé è ancora un miraggio.

La scorsa primavera, Luoghi di Libri, insieme ad alcune scrittrici ed editrici amiche, si era interrogata su questo tema e ne era scaturita una discussione interessante in cui le parole della Woolf trovavano una nuova lettura in chiave moderna. La scrittrice affermava che una donna per poter scrivere necessitasse di una stanza tuta per sé e di indipendenza economica, che non la rendesse proprietà di alcun uomo. Si interrogava inoltre sul perché prima del ‘700 ci fosse la totale assenza nel panorama letterario inglese di romanzi o sonetti scritti da donne, nonostante le donne fossero il soggetto principale degli scritti maschili. E come risposta inventò l’esistenza paradossale di Judith Shakespeare, sorella del più celebre William: l’esistenza di una ipotetica sorella scrittrice non sarebbe stata rose e fiori a quei tempi. Avrebbe avuto la stessa istruzione, credibilità e seguito del fratello? Avrebbe potuto vivere le stesse esperienze da mettere poi su carta? Sicuramente no. Ecco spiegata l’assenza delle donne in letteratura fino ad un certo periodo. Ma adesso, come la mettiamo? Adesso che le donne hanno raggiunto la tanto agognata indipendenza economica, adesso che possono permettersi una stanza tutta per sé, cos’è che manca loro? Il tempo. Virginia Woolf ci perdonerà se aggiungiamo alla sua lista di motivi per cui è tanto difficile per le donne entrare nell’agognato Olimpo della letteratura, la difficoltà di ritagliarsi del tempo. Adesso che possiamo frequentare le università, che il nostro livello di istruzione è pari se non a volte superiore a quello dell’altra metà del cielo, che non veniamo più allontanate dalle biblioteche, adesso proprio adesso, nel nuovo Millennio, ci manca il tempo. Donne multitasking che si dividono tra il vero lavoro (perché un’altra verità da condividere, cara Virginia, è che nel 2020 di scrittura non ci campano più neppure gli uomini, figuriamoci le donne), la famiglia, la casa da mandare avanti e la scrittura. Quando scrivono le donne? Di notte o nel weekend, ci avevano risposto a suo tempo le amiche scrittrici. Mentre i figli sono alle partite o la casa dorme. Perché lo fanno allora, se è così faticoso? Perché, forse, un particolare che la Woolf non poteva conoscere è che, quando diventi multitasking, ad un certo punto hai l’urgenza di rallentare, di trovare nella tua mente quello spazio accessibile solo a te. Ed è proprio grazie alla scrittura che quello spazio prende forma.

“Una stanza tutta per sé”, da leggere perché non è mai troppo tardi per ritagliarsene una.

Annamaria

 

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