Quattro chiacchiere con… Valeria Pomba

Hai accettato di raccogliere la sfida del Concorso, perchè per te la scrittura è… raccontacelo scegliendo tre aggettivi che più ti rappresentino.

Insistente. Questo è il primo aggettivo che mi viene in mente parlando del mio rapporto con la scrittura. Perché quando mi entra in testa l’idea per un racconto, in genere cerco di tenerla da parte a lungo, trovando mille motivi per non metterla su carta: troppo scontata, troppo melensa, troppo di nicchia, e così via (fondamentalmente sono una scrittrice pigra). Ma la scrittura lo sa che spesso sono solo scuse. Così insiste martellante, finchè cedo e l’idea diventa una storia. Insonne. In genere sono un ghiro, dormo tantissimo. Però, se ho in mente un racconto, passo la notte a mettere insieme i pezzi, finchè non trovano una forma soddisfacente. Che poi di giorno, davanti al pc, scombino e ricompongo da capo, ma intanto personaggi e intrecci possibili non mi hanno fatto dormire. L’esigenza di scrivere ha in me lo stesso effetto della caffeina. Innata. A cinque anni ho imparato a leggere, a sei ho scritto i miei primi racconti, più che altro un pastrocchio di parole, ma intanto l’istinto c’era già. La scrittura per me è nata come un gesto spontaneo. Poi, per la bella scrittura l’istinto non basta: occorre tempo, dedizione, lucidità critica. Infatti ora sono una scrittrice pigra (vedi sopra). Ma il primo impulso è ancora oggi infantile, impaziente e irrazionale.

Soffermandoci sull’incipit del concorso e sul racconto che ti ha permesso di classificarti tra i vincitori, da dove è arrivata l’idea per proseguire la tua storia? E i personaggi?

Le parole dell’incipit in se stesse mi hanno ispirato, dalla prima volta che le ho lette. Mi giravano in testa, mi chiedevo come fosse possibile essere in piena notte, per strada, e non riuscire a riconoscere un volto sfocato davanti a sé, perché il protagonista avesse con sé un’enorme valigia piena di lettere. Ah no, questo nell’incipit non c’era, lo stavo immaginando io. E se quell’incipit fosse diventato l’epilogo di una storia iniziata molto tempo prima? Avevo un confine, un limite, l’obbligo di partire e tornare lì. Di solito è la spinta migliore contro l’inerzia per precipitarmi a scrivere. I due protagonisti, Viola e Landi, sono inquilini della mia fantasia da un pezzo, in teoria sono i personaggi di un romanzo che dovrei scrivere da tempo. Per cui ci conosciamo bene e, visto che con l’incipit potevano azzeccarci, ho deciso di fargli prendere un po’ di aria buona. Certo, uno dei due non fa una bella fine, ma è un personaggio immaginario, si riprenderà presto.

Quali sono le emozioni che hai provato ad essere sullo stesso palco con autori affermati al Circolo dei Lettori?

Tremarella, ovvero sensazione psicofisica che mette in equilibrio instabile sia le ginocchia sia le idee. Per fortuna non dovevo intervenire sul palco, sarebbero uscite poche parole banali (in genere rendo più nello scritto che a voce). Ma ho provato anche entusiasmo e ammirazione sincera, per le persone che avevo attorno, dagli organizzatori agli autori affermati, che si sono dimostrati di grande disponibilità e umiltà, rendendo l’atmosfera rilassata e piacevole.
Non era il primo evento di questo tipo a cui partecipavo, ma questo è stata una piccola, delicata favola, dal finale aperto.

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