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Fabio Mundadori – Dove scorre il male

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Ecco che mi ritrovo a parlare della seconda e ben più convincente indagine del commissario Sammarchi, nella quale scopre con grande amarezza, e noi insieme a lui, che tutto quanto ha un prezzo che trasforma i nostri sentimenti in sterili e avidi involucri senza materia. Interessi e curiosità personali prima di tutto ci eclissano rendendoci ciechi non più in grado di gioire per successi e conquiste altrui. Una sola parola riesce a riassumere tutto questo: il male. E mi viene subito in mente un paragone. Immaginate una parete rocciosa immacolata, liscia e pura nella sua bellezza, mai scalata da nessun essere umano e le cui striature siano solo il frutto di Madre Natura. Ecco, ora pensate ad una piccolissima crepa nella quale riesce ad insinuarsi un filo di acqua, l’inizio della fine. Forse solo dopo migliaia di anni si potranno notare gli effetti di quella piccola ma inesorabile sbavatura. Il male è questo, non lo riconosci ma di certo sentirai i suoi effetti per quanto tardi possano manifestarsi. Ammalia, unisce, divide, fa soffrire e fin troppo spesso porta alla morte.

Luca Sammarchi non è cambiato, sempre schivo e introverso, viene chiamato a presentarsi in tribunale per testimoniare riguardo un episodio risalente a dieci anni prima mentre era in servizio durante un evento spaventoso. Un intero quartiere, il Q24, inghiottito in una voragine. L’apocalisse. Il commissario ha ben presente l’indagine che iniziò a seguire e dalla quale fu allontanato poco dopo grazie ad un trasferimento mirato. Un caso di corruzione e malavita nel quale si ritroverà immerso fino al collo. Torna così a Roma con l’intenzione di rimanerci solo un paio di giorni ma i suoi piani cambieranno. Sulla falsariga del precedente romanzo, anche in ‘Dove scorre il male’, Fabio Mundadori utilizza la contaminazione di generi, dal thriller al romanzo d’azione passando per il giallo e con piccolissime incursioni nella saggistica. L’imprinting e lo stile non cambiano. Capitoli brevi come istantanee fotografiche che catturano l’essenza della narrazione arrivando dritti al punto. L’asticella si è però alzata, decisamente. Mischiare i generi significa scrivere di giovani writers e di uomini politici, di malavitosi, di contrabbandieri e serial killer professionisti; ciò che unisce tutti quanti è un ambizioso progetto della BBC Costruzioni per alleggerire quello che è il problema immigrazione in Italia. A proposito, farete la conoscenza di Mascotte e non vi dico altro se non che sembra un Rambo dei nostri giorni. ‘Dove scorre il male’ è un viaggio nell’intricato labirinto della verità, un percorso forzato attraversò veli di omertà, menzogne e morti innocenti. Un libro per denunciare qualcosa che tutti conoscono e nessuno ha il coraggio di affrontare. E ancora la condanna alla burocrazia italiana che permette a certi reati di veder dilatata la giustizia fino a tempi che oserei dire biblici. Una vergogna.

Un romanzo che è spunto di ragionamento e riflessione. Fabio Mundadori è riuscito a creare tensione e interesse là dove un argomento spesso crea dibattiti e discussioni. Per questo motivo il libro deve essere letto con mezzo occhio distaccato, decontestualizzando il tema principale che qui sembra usato in maniera provocatoria. Un ottimo lavoro che arriva alcuni anni dopo ‘Occhi viola’ e dove si percepisce la maturazione dello scrittore. Una trama complessa, personaggi molto meglio definiti e collocati sono il frutto di studi e approfondimenti che hanno contribuito a rendere ‘Dove scorre il male’ mai noioso. Spero di incontrare ancora Luca Sammarchi e Mascotte molto presto. Una lettura che accontenta tutti i palati.

 

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Alessandro Berselli – La dottrina del male

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Guardi la copertina e ti senti piccolo: piccolo rispetto ai grattacieli che scompaiono nel blu, rispetto a quello che è il mondo della politica, a quelle sette che in qualche modo riescono a circuirti per farti fare cose che non vorresti, perché minacciano la tua famiglia e la tua integrità.

Mi sono persa tra le pagine di La dottrina del male: mi sono persa nella psicologia, di cui poco conosco ma che qui su tante cose fa leva. Non amo il mondo della politica, non amo le dinamiche che circuiscono le persone, ma la tensione narrativa che fa di questo libro un romanzo top è fantastica.

All’inizio ho fatto un po’ di fatica a entrare nelle scene, ma poi è scattato qualcosa che ha cambiato tutto: un libro! Un libro, una Bibbia, un modo di vedere o ribaltare le cose, un mondo di persone in giacca e cravatta che nascondono ben altro.

Rileggo la quarta di copertina: “Non hai anche tu l’impressione che stiamo precipitando in un secolo buio dove non si ha più la percezione di nulla?”. Forse sì, la tecnologia, tutto ciò che ci circonda e che non siamo in grado di controllare, obbiettivi sempre più ambiziosi, in una vita frenetica e forse senza ritorno.

Quando arriverete all’ultima riga, mediterete. Cosa avreste fatto voi al posto di un uomo ambizioso e in cerca di fama e consensi? Vi sareste fermati e accontentati di quello che dà una famiglia e una vita non appariscente? Domande a cui solo ognuno di noi può dare risposta, ma forse non saranno mai le risposte che mettereste in atto in fase decisionale davanti ad un bivio. Chi lo sa.

Alessandro Berselli anche questa volta stupisce, anche questa volta si fa amare e forse anche un po’ odiare, perché descrive un mondo e una società che è la perfetta fotografia di oggi. Che prezzo siamo disposti a pagare? Leggetelo e magari saprete rispondere a questa domanda, o forse no.

 

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Lorenzo Marone – Un ragazzo normale

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“[…] Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli?
Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori
Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi
Nessuno vuole essere Robin […]” C. Cremonini

Gli occhi di un bambino, Domenico detto “Mimì”, sono la nostra guida per una Napoli che si incammina verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, una città fatta di Santi, calcio, punk e paninari, quartieri chic, parrucchieri frequentati dalle signore dell’alta borghesia, palazzi signorili e terrazze che sovrastano e guardano tutto e tutti dall’alto. Poi c’è l’altra Napoli, che tutta quella ricchezza la può solo vedere, quella delle sigarette di contrabbando, delle famiglie di sei persone stipate in una camera e cucina, delle partite di calcio giù in strada finché non ti urlano che la cena è pronta, della Cinquecento di seconda mano che ti viene rubata il giorno dopo che l’hai comprata, la città che non va mai in vacanza perché non se lo può permettere ma che ha un cuore grande e pronto ad aiutare il prossimo. Tra queste due Napoli scorrono le giornate di Mimì e dei suoi amici, Viola e Sasà, che rappresentano i due diversi mondi da cui loro stessi provengono. Mondi che hanno un handicap in comune: sono ciechi. Non vogliono vedere quello che li può ferire: Sasà non vuol vedere la malattia della madre, la sofferenze del barbone che diventerà amico di Mimì; Viola dal canto suo è attratta da ciò che Mimì rappresenta eppure lo respinge perché non abbastanza frivolo come gli altri coetanei. Tutti, adulti e bambini, fingono di non scorgere più in là del loro naso e tutti hanno il terrore di pronunciare, anche solo di pensare quella parola: CAMORRA.

Il solo coraggioso è Mimì. Da sempre curioso e diverso dagli altri della sua età, Mimì “tiene la fissa” per i supereroi e, quando incontra un vicino di casa, Giancarlo Siani di professione giornalista, pensa di averlo trovato. Giancarlo non ha paura di niente, la sua auto è così strana da sembrare la Batmobile e per campare scrive. Scrive e non si piega ai cattivi, anzi li denuncia! Questo fa di lui il supereroe che Mimì stava cercando. L’amicizia singolare tra Mimì e il suo idolo lo porterà a crescere, durante un viaggio di formazione lungo un’estate, pur non muovendosi dal proprio quartiere, ma imparando ad osservarlo con occhi diversi.

A dodici anni sono diventato amico di un supereroe […] Aveva 25 anni e abitava nel mio condominio, e se ne andava in giro con una strana auto decappottabile verde, un’agenda e una biro. Si chiamava Giancarlo e, nonostante le mie insistenze, diceva di non essere per niente un supereroe.

Da leggere perché la scrittura vivace e fluida di Lorenzo Marone, che alterna italiano e dialetto napoletano, colorando i suoi personaggi di così tanta realtà da stentare a credere che non siano realmente esistiti, vi catturerà fin dalle prime pagine.

Da leggere perché la lotta alla camorra si combatte col ricordo e quello che lo scrittore ci regala è un’immagine molto nitida di un giornalista, che non era né un pazzo né un eroe, ma solo un giovane che faceva il proprio dovere.

 

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Michela Murgia – Accabadora

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Il tema del fine vita è sempre tanto delicato quanto attuale. A ragion veduta, la morte è probabilmente la condizione umana con la quale non riusciremo mai a scendere a patti. Non c’è nulla di peggio che perdere un marito, una moglie, un parente, per non parlare dello strazio dei genitori che sopravvivono ai propri figli. Michela Murgia lo affronta con la destrezza e la delicatezza di una scrittrice vera e autentica scrivendo un libro che è metafora di sofferenza e dolore. La sua sensibilità non deve però ingannarci perché “Accabadora” è un romanzo breve ma molto intenso e forte, che ti lacera il cuore soprattutto dopo che lo hai concluso. Quel momento in cui lo rifletti e lo assimili.

Chi è l’Accabadora? Nella cultura sarda è la figura di una donna che si incaricava di portare la morte a persone di qualunque età, nel caso in cui queste fossero in condizioni di malattia tali da portare i familiari o la stessa vittima a richiederla. Tale donna non veniva retribuita poiché portare la morte in cambio di denaro era contrario alla religione. In realtà, non esistono prove concrete dell’esistenza di tale pratica quindi il libro ed eventuali approfondimenti devono essere visti con un occhio sempre inquadrato sul folkrore e sulla superstizione. L’Accabadora esprime la sfida contro gli Dei incomprensibili e, insieme, si rivela come servigio di accompagnamento oltre il dolore e la paura. Per chi resta, non esiste la morte dolce. Essa rimane a vegliare, a insegnare che non esiste libertà di vivere o di morire ma solo quella di stare al mondo per ciò che siamo. Tutto questo contestualizzato in un territorio da sempre bistrattato, la Sardegna: isola meravigliosa di terre maledette, voci imprigionate e persone che si vedono ma non si distinguono. Ho apprezzato l’approccio che Michela Murgia ha adottato non prendendo alcuna esplicita posizione sull’argomento limitandosi a riportare un pezzo di storia italiana di una cultura a noi continentali del tutto sconosciuta. Maria, Bonaria, Andrìa e Piergiorgio, solo per citarne alcuni, sono tutti attori ben concepiti e inseriti magistralmente nel quadro narrativo. Le loro storie mi hanno fatto riflettere su quanto le tradizioni siano importanti per mantenere certi tessuti sociali, fondati su valori che sembrano ormai superati ma indispensabili per le future generazioni. Netta, e credo voluta, è la contrapposizione tra figura maschile e femminile: è evidente che “Accabadora” è un romanzo femminile, nel senso che la parte attiva della trama ha come protagoniste le donne; gli uomini, per motivi riconducibili a fattori psicologici, li trovano tutti in una condizione passiva, di reazione più che di azione. Lo stile evocativo delle pagine di questo romanzo ne azzera sicuramente la brevità gonfiando il significato di ogni parola che intraprende la ricerca di un linguaggio primitivo, di un mondo talmente lontano che sembra quasi perduto. Per trovare un difetto dobbiamo arrivare nella seconda metà del libro dove un cambio repentino di sceneggiatura stona con la continuità della storia fino a quel momento narrata: dalla campagnola Soreni ci si trasferisce alla grigia Torino. E mi chiedo se fosse veramente necessario un passaggio del genere che non ha apparentemente motivo di esistere siccome tutto finirà proprio là dove ebbe inizio. Probabilmente non ne ho colto la giusta sfumatura.

Questa piccola incomprensione toglie comunque poco valore ad un romanzo coraggioso che si traduce in una lettura adulta e matura che lascia basiti, specialmente nel momento in cui serve razionalizzare per coglierne appieno il messaggio. Un ottimo romanzo di narrativa contemporanea, sempre attuale, e problematico nel senso che tenta di dare una spiegazione a ciò che è l’eutanasia, creando inevitabilmente spaccature e discussioni, anche politiche, che fin troppo spesso esulano dal significato intrinseco della tematica. Lo scritto più studiato e migliore della Murgia. Piccola opera per grandi riflessioni.

 

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Francesca Battistella – La verità dell’acqua

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La magia del Lago d’Orta esce sempre tra le parole e le narrazioni di Francesca Battistella. Questa volta le tinte sono più cupe, la storia è più noir anche se sempre di ampio respiro. Una vecchia dimora che si affaccia sul lago al centro di indagini di un agente immobiliare. Si cambia registro e si cambiano i personaggi rispetto ai suoi precedenti lavori, ma il ritmo narrativo è sempre molto equilibrato e non lascia spazio alla noia. I libri letti tutti d’un fiato, quelli che coinvolgono i sentimenti, le storie belle che ti fanno viaggiare nella fantasia per un po’.

Con i libri di Francesca Battistella non faccio mai fatica ad immergermi nel luogo, le sue descrizioni fin dalla prima pagina ti fanno vivere il posto e le scene come se fossi il regista dietro la cinepresa: vedi i panorami, calpesti le stradine, giri nelle stanze della vecchia dimora in vendita, riesci a immaginarti ogni spazio e ogni sospiro dei personaggi.

Anche questa volta siamo dentro un noir, che non lascia però mai da parte i sentimenti, anzi. Sulla quarta di copertina padroneggia la frase: “Ci sono persone a questo mondo destinate a non pagare mai per il male che hanno fatto. E questa è una cosa che non sopporto”. Ne siamo proprio sicuri? Sarà così anche nella storia? Oppure prima o poi i nodi vengono tutti al pettine? Leggetelo per darvi delle risposte, anche questa volta la Battistella non delude.

 

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