Luoghi di libri

Piergiorgio Pulixi – Una brutta storia

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Mazzeo, o Mazzeo! Finalmente ti ho conosciuto. Affascinante e dannato. Era proprio vero quando mi dicevano: Mazzeo o lo ami o lo odi.

Sicuramente tecniche e approcci poco ortodossi per un poliziotto, ma certamente leggendolo ti ricorda un po’ il Robin Hood della situazione. Piergiorgio Pulixi è infinitamente bravo con le parole, riesce ad inserire nella mente del lettore quel giusto peso tra la voglia di chiudere il libro, tanto è il nervoso che suscita, e la voglia di capire se Biagio Mazzeo riesce in qualche modo a trovare una via corretta per una risoluzione del problema.

Il narcotraffico fa da sfondo ad una banda di poliziotti corrotti con a capo Biagio la narrazione di “Una brutta storia”. L’autore riesce ad uscire dal politicamente corretto, toccando sfaccettature del mondo reale e creando un connubio con la fantasia dando vita ad un libro forte, adrenalinico e psicologico.

I personaggi sono taglienti, tutti con passati e presenti di impatto, i dialoghi sempre asciutti e diretti.

La domanda che aleggia per tutta la durata del libro è “come posso combattere il narcotraffico, se non entrandoci direttamente dentro per cercare di tenere a bada le bande rivali?

Ho amato e odiato Mazzeo, dal lato dolce ma in fondo una gran carogna, forse unico modo per sopravvivere dopo essere cresciuti in mezzo ad una strada, innamorato perdutamente di una donna fragile e da proteggere.

Se vi piacciono i libri “prepotenti”, di impatto, che lasciano senza fiato e che spesso impressionano non solo per il lato psicologico, questa è la vostra storia e arrivando alla fine avrete decisamente bisogno di tempo per lasciarlo sedimentare dentro di voi.

Io nel frattempo vado a leggere il secondo libro della saga Mazzeo. Grazie Piergiorgio, anche questa volta i tuoi personaggi hanno lasciato il segno, le tue storie sono entrate nel profondo e leggerti ha fatto la differenza. A presto Mazzeo!

Simona

 

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Haruki Murakami – Prima persona singolare

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Volendo riassumere Prima persona singolare di Haruki Murakami in un’esclamazione, non potrebbe che essere ‘wow’! Ho finito di leggerlo qualche minuto fa e sono assalita dal bisogno impellente di recensirlo per cristallizzare l’entusiasmo e lo stupore provati e farveli assaporare con veemenza attraverso le mie parole. Forse nell’assurdo tentativo di immortalarli e renderli imperituri. Chi ha letto un po’ di opere di Murakami non potrà fare a meno di avere l’impressione che gli altri romanzi, in cui lascia trasparire se stesso attraverso i vari personaggi, siano una sorta di preparazione a questo, al momento in cui ha voluto rivelare tutto se stesso ai suoi lettori. Per farlo non sceglie di scrivere una pomposa biografia piena di eclatanti eventi. Come per i suoi personaggi, non vuole mostrarci di sé l’aspetto esteriore, ma la sua lente ancora una volta zooma sull’interiore.

Ci regala 8 diverse versioni di se, dell’IO, la prima persona singolare, protagonista assoluta e sola, ma anche particolare e unica. Lo fa riferendoci dei banali aneddoti che hanno caratterizzato il suo quotidiano e che divengono espedienti per condividere con noi non solo il suo pensiero su temi importanti, ma il suo percepire in merito. Ci racconta come vive l’importanza di un incontro e di creazione di un legame, un incontro magari apparentemente insignificante, ma che può lasciare il segno portando con sé una versione di sé in continuo divenire. Passa poi a disquisire circa gli obiettivi della vita che sono per ognuno apparentemente inarrivabili e per ciascuno un diverso modo di percepire ‘un cerchio dai mille centri e senza circonferenza’, la quintessenza della vita, Ci parla del suo rapporto con la morte, processo lento in atto ogni giorno della nostra vita eppure mai definitivo perché continueremo a vivere nei ricordi e nei pensieri dei posteri. Ci racconta l’Amore, quello struggente ed impetuoso adolescenziale, del qui ed ora, molto fisico tanto da paragonarlo al bisogno di cibo. Quell’amore a cui paragoneremo per anni tutti i successivi senza che nessuno ci paia all’altezza, per poi raggiungere la consapevolezza che ogni persona ci colpisce non solo in quanto tale, ma anche per il momento e contesto in cui capita portando con sé un amore differente e che è importante vivere il momento in cui arriva. Ogni amore decontestualizzato non sarebbe stato amore e non segue ragioni, capita e basta. Ci parla della sua famiglia e del rapporto con il padre, rapporto poco amorevole ma ricco di ricordi che gli rendono caro lo sport che seguivano insieme, il baseball, quale emblema della felicità di un bambino di passare del tempo con il genitore. È in questo contesto che ci mostra tutta la sua fragilità e insicurezza, connessa alle critiche del padre, per cui sente il bisogno di soddisfare le aspettative e ammette il suo timore di deludere il lettore e il bisogno di scusarsi con lui per l’eventuale delusione delle aspettative.

Successivamente ci racconta la sua concezione di bellezza, intesa non come mera bellezza fisica, ma come connubio con il carattere e la personalità della persona. Potrebbe sembrare un luogo comune, ma ci mostra come nel quotidiano se una persona possa essere un azzeccatissimo mix di difetti armonici con un risultato più piacevole delle classiche bellezze canoniche. Torna a parlare di amore per dedicarsi ad un concetto di amore più adulto, quello in cui si ha la consapevolezza che possa finire, che possa non essere corrisposto, ma che di per sé regala calore e fa sentire vivi nel presente e nel ricordarlo. Ce ne parla attraverso la scimmia di Shinagawa, metafora del suo Io più inconscio ed ancestrale. Non ha mai raccontato quell’incontro con la scimmia parlante a nessuno, lo ribadisce più volte, ma lo sta raccontando a noi, confessandoci il reale obiettivo di questo romanzo, mettersi a nudo regalandoci una profondissima intimità, tanto da renderci custodi delle sue vicende interiori più segrete. In questa progressiva escalation di complicità si raggiunge l’ultimo capitolo, l’ottavo IO del romanzo, quel che vi conferisce il titolo. In questo ultimo capitolo ci mostra i suoi rituali, il suo senso di colpa e vergogna, il suo rapporto con la sua coscienza e la sua esigenza talvolta di zittirla con la conseguente battaglia di quest’ultima per farsi comunque sentire. Ci mostra la parte più nascosta e conflittuale di sé, quella che non sa spiegare alla moglie, ma deve spiegare ad un’altra donna, metafora della sua coscienza e che forse non ha più voglia di celare e vuole mostrare in maniera eclatante, urlandola in un libro a migliaia di sconosciuti per poterla accettare, metabolizzare e introiettare senza continuare sol a guardarla di rado attraverso l specchio come si guardasse un estraneo.

Leggendo ci sembrerà di fare una chiacchierata al bar con un amico con mille inizi che suonano come ‘ti ho mai detto di quella volta in cui…’. Continui voli pindarici, come scrivesse di getto i ricordi man mano che affiorano, così come capita talvolta durante una chiacchierata leggera in cui un argomento tira l’altro. E spesso si toccano temi molto importanti, parlando di eventi quotidiani e leggeri, forse banali, in un dialogo fluido e amichevole. Azzera le distanze raccontandoci dettagliatamente piccole sensazioni. Il lettore pensa più volte ‘è così che mi sono sentito’, ‘già è proprio così che mi è capitato di pensarla’. Sensazioni che ognuno di noi ha provato almeno una volta nella vita a renderlo uno di noi.

Condivide con noi le sue persone, i suoi interessi musicali, le sue passioni sportive, le sue stranezze, i suoi sensi di colpa e i suoi sogni ad occhi aperti o meno. Realizza una sorta di biografia aneddotica, una biografia delle sue piccole e grandi sensazioni per confessarci sé stesso affinché solo il lettore più empatico possa non leggerlo, ma scoprirlo. In fondo non sono le piccole cose del quotidiano a caratterizzarci e rappresentarci più dei grandi e sporadici eventi della nostra vita? E ognuno di noi non sceglie forse di non renderle accessibili a chiunque, ma solo a pochi e fidati intimi?

Così Murakami a noi lettori dalla mente e dal cuore attenti.

Patrizia

 

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Andrea Malabaila – Lungomare nostalgia

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Ammetto che avevo aspettative altissime quando ho preso in mano questo libro. Andrea (questa volta posso permettermi il nome proprio perché è un amico) non delude.

Era ancora in fase di realizzazione e già sentivo parlare di Nonno Natale. “Lungomare nostalgia” è un viaggio, un bellissimo viaggio della storia di noi nati negli anni Settanta e del rapporto che avevamo con i nostri nonni. È vero, ho pianto leggendo, perché per tanti motivi lo scrittore ha messo la storia di noi che i nonni li abbiamo vissuti come nonni (poco e intensamente).

I nostri nonni non educavano, i nostri nonni “viziavano” e ti crescevano raccontandoti la loro gioventù, la guerra, gli stenti, i balli a palchetto, ed era un’eredità che ti tenevi ben stretto, ma non sapevi, perché non te ne rendevi conto, che avresti dovuto inciderla in un nastro per riascoltarla in età adulta.

I nonni ti insegnavano i mestieri, ti facevano fare prove di coraggio per crescerti senza paura, i nonni erano le coperte di Linus quando i genitori erano lontani, i nonni spesso li godevi quando l’asilo era chiuso e i genitori lavoravano.

In Lungomare nostalgia, c’è tutto questo prendere coscienza nel momento della perdita di nonno Natale. E’ bello camminare con Andrea in mezzo a queste pagine, c’è dolore, c’è nostalgia, ma c’è sempre la fiammella futuro, speranza, ricordi, e gioia che lo accompagnano.

Sì i nonni sono supereroi, i nostri personali supereroi, quelli che possono tutto anche quando tutto diventa difficile, sono quelli che in un modo tutto loro ci fanno vedere il mondo con una sfumatura diversa, hanno sempre una magia diversa per non deluderci.

I nonni hanno iniettato nel nostro DNA qualche pozione magica che ci rende un po’ quello che siamo.

Il libro di Andrea Malabaila è da leggere assolutamente, non solo non delude, ma fa riflettere su quello che non abbiamo più, sulla magia di quello che era un Natale meno commerciale, su quello che voleva dire andare a spasso con il nonno e insieme prendere un aperitivo. Unico consiglio: fazzoletti alla mano che servono durante questo meraviglioso e singolare viaggio.

Simona

 

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Rossella Bianchi – In via del campo nascono i fiori

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Genova città di mare. Genova è l’Acquario, certo. Genova DeAndrè e il G8, il Ponte Morandi, Gino Paoli e Govi. Genova è Bruno Morchio, la Blanca della serie tv e Petra Delicato, sì, sempre quella della tv, perché nei libri vivono da un’altra parte.

Genova e la focaccia, il pesto, i mandilli de sae, i caruggi…

E nei caruggi? Nei caruggi, nei vicoli, il Centro Storico, l’anima e il cuore e la passione di Genova.

Nel cuore di Genova si svela come un fiore la storia vera, scritta di sua mano, di una donna, Rossella, che di Genova è uno dei simboli.
Rossella non è nata a Genova, o meglio, Rossella è nata a Genova, ma quando c’è arrivata si chiamava Mario Bianchi, un ragazzo che ha mosso i primi passi perso dentro di sé e sotto il cielo infinito delle colline della provincia di Lucca.

A Genova Rossella conosce un altro mondo e una libertà impossibile in qualunque altro posto al mondo, i vicoli il ghetto, sono stretti sporchi e malfamati, ma negli anni ’60 è la calamita per chiunque in Europa voglia vivere in quasi totale libertà il proprio essere e la propria sessualità senza doversi nascondere. Qui conosce la libertà, ma qui cominciano anche le disgrazie e le disavventure, quando la storia di Rossella incontra la Storia – e allora la malavita, la politica, mani che tentano di regolare il mondo libero dei bassi e di tutte le Rosselle che lo abitano – e la Storia incontra il quotidiano nelle amicizie indissolubili e nei piccoli grandi amori di una piccola grande figura del Novecento, chiamata a combattere mille battaglie per difendere l’autonomia e la dignità conquistate pagando sempre il prezzo intero, senza mai avere sconti.

Fino ad arrivare agli anni Ottanta, al flagello dell’eroina, alle nuove battaglie contro chi nasconde sotto il termine riqualificazione i soliti vecchi slogan contro chi non è conforme allo status quo. La scoperta di un alleato inaspettato in un prete, don Gallo e la creazione della Fondazione Princesa, dal nome della canzone di Fabrizio DeAndrè che a Rossella e alle altre ragazze del ghetto era dedicata.

Un’autobiografia con tutti gli ingredienti di un romanzo avvincente. Una storia di soprusi e libertà, di battaglie, riscatti, cadute e resurrezioni. In difesa di quel lumino fragile esposto a tutti i venti della Storia e della vita che è la dignità di una persona. Per insegnare e ricordare che la dignità non veste soltanto la giacca e la cravatta, ma è importante qualsiasi forma e colore voglia assumere.

Stefano

 

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Lucinda Riley – Atlas. La storia di Pa’ Salt

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Per tutti gli amanti della saga delle Sette Sorelle è finalmente stato pubblicato anche in lingua italiana l’ultimo volume, il capitolo rivelatore, quello circa la vita di Atlas alias Pa’ Salt. Per chi non conosce la saga, vi si offre la possibilità di godersela tutta d’un fiato. Non perdetevela.

Noi lettori siamo rimasti appesi, sempre un po’ sgomenti di pagina in pagina nelle precedenti letture circa il motivo per cui un uomo facoltoso abbia girato tutto il mondo alla ricerca di 7 bambine da adottare, trovandone 6 con il rammarico che una restasse ‘perduta’. In questo ultimo capitolo scopriamo insieme alle nostre ormai amate ragazze ogni risposta e tutto ha una sua logica. Non si può fare a meno di ammirare la colossale opera creata dall’autrice (e conclusa postuma con l’aiuto del figlio) che ha progettato questo complesso costrutto nel minimo dettaglio, come una sorta di genio Pantocrator, creatore e burattinaio di una vita dai risvolti intricati e complessi.

Appositamente ho scelto il termine vita e non vicenda, in quanto lo studio storico alla base delle ambientazioni sia geografiche, sia storiche, la complessità dell’intrecciarsi dei differenti alberi genealogici e delle diverse vicissitudini conferisce all’intero testo un realismo tipico unicamente delle biografie. Le storie delle nostre amate sorelle così come dei loro avi sono storie di fantasia ma allo stesso tempo sono emblematiche delle vite delle donne dei secoli in cui sono ambientate e di donne che vivono differenti problematiche. In questo senso si può affermare che non si tratti di una biografia ad personam ma ad societatem! Ognuno di noi per altro può ritrovare sè stesso in questo continuo alternarsi di serenità e fatiche di Pa’ Salt. Cresciamo insieme con il nostro ‘eroe’ onesto e altruista e con lui impariamo progressivamente che la vita spesso non possiamo sceglierla in toto, ma solo scegliere di accettarne o meno alcune proposte e la felicità ne sarà il risultato inaspettato, non la realizzazione di un nostro programma.

Forse è questo il segreto della serenità!

Patrizia

 

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