Luoghi di libri

Rossella Bianchi – In via del campo nascono i fiori

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Genova città di mare. Genova è l’Acquario, certo. Genova DeAndrè e il G8, il Ponte Morandi, Gino Paoli e Govi. Genova è Bruno Morchio, la Blanca della serie tv e Petra Delicato, sì, sempre quella della tv, perché nei libri vivono da un’altra parte.

Genova e la focaccia, il pesto, i mandilli de sae, i caruggi…

E nei caruggi? Nei caruggi, nei vicoli, il Centro Storico, l’anima e il cuore e la passione di Genova.

Nel cuore di Genova si svela come un fiore la storia vera, scritta di sua mano, di una donna, Rossella, che di Genova è uno dei simboli.
Rossella non è nata a Genova, o meglio, Rossella è nata a Genova, ma quando c’è arrivata si chiamava Mario Bianchi, un ragazzo che ha mosso i primi passi perso dentro di sé e sotto il cielo infinito delle colline della provincia di Lucca.

A Genova Rossella conosce un altro mondo e una libertà impossibile in qualunque altro posto al mondo, i vicoli il ghetto, sono stretti sporchi e malfamati, ma negli anni ’60 è la calamita per chiunque in Europa voglia vivere in quasi totale libertà il proprio essere e la propria sessualità senza doversi nascondere. Qui conosce la libertà, ma qui cominciano anche le disgrazie e le disavventure, quando la storia di Rossella incontra la Storia – e allora la malavita, la politica, mani che tentano di regolare il mondo libero dei bassi e di tutte le Rosselle che lo abitano – e la Storia incontra il quotidiano nelle amicizie indissolubili e nei piccoli grandi amori di una piccola grande figura del Novecento, chiamata a combattere mille battaglie per difendere l’autonomia e la dignità conquistate pagando sempre il prezzo intero, senza mai avere sconti.

Fino ad arrivare agli anni Ottanta, al flagello dell’eroina, alle nuove battaglie contro chi nasconde sotto il termine riqualificazione i soliti vecchi slogan contro chi non è conforme allo status quo. La scoperta di un alleato inaspettato in un prete, don Gallo e la creazione della Fondazione Princesa, dal nome della canzone di Fabrizio DeAndrè che a Rossella e alle altre ragazze del ghetto era dedicata.

Un’autobiografia con tutti gli ingredienti di un romanzo avvincente. Una storia di soprusi e libertà, di battaglie, riscatti, cadute e resurrezioni. In difesa di quel lumino fragile esposto a tutti i venti della Storia e della vita che è la dignità di una persona. Per insegnare e ricordare che la dignità non veste soltanto la giacca e la cravatta, ma è importante qualsiasi forma e colore voglia assumere.

Stefano

 

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Emanuele Pettener – Giovani ci siamo amati senza saperlo

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Venezia, estate del 1990. Il mare, i Mondiali, il primo anno di università per Feli, Barbara, Rodrigo e Ema. Quel periodo della vita in cui tutto sembra a portata di mano, dove sembra di avere tutte le risposte e ci si chiede come abbiano fatto tutti gli altri (quelli adulti e regolari) a non aver capito un accidente di quella cosa bella e fresca e facile che è la vita.

Questo il ritratto ideale dei protagonisti di questa commedia veneziana che racconta di un anno irripetibile della loro vita, in cui la Vita, l’amore, la passione e il desiderio saranno i cardini delle svolte e giravolte che legano e ribaltano relazioni e amicizie. In una corsa che sembra inarrestabile fino alla conclusione, al colpo di scena inaspettato che sparpaglierà le carte e darà conto di tutto, come nelle storie migliori, come la vita vera spesso sa sorprendere.

Una scrittura che sa intrattenere perché si diverte lei per prima a fare il suo lavoro. Un autore con una voce fresca, che sa riproporre ai giorni nostri un genere che due secoli fa avremmo potuto vedere in scena a teatro.

Un sogno di una notte di mezza estate dove l’elemento soprannaturale sono quelle notti magiche che ricordiamo con nostalgia, quando tutto sembrava più semplice e instradato verso un futuro luminoso e il superpotere delle possibilità e del coraggio della giovinezza, che tutto può e tutto pretende, nell’innocente inconsapevolezza che non ci sia, alla fine, un prezzo per ogni cosa.

Stefano

 

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Giorgio Ghiotti – Atti di un mancato addio

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Giulio è, come tutti noi, al centro di un sistema di legami e relazioni. Ci sono i suoi genitori, la sua città di provenienza, ci sono Cecchi, Trottola, Roberta, Massi. Compagni di studio, coinquilini, amici.

Un giorno Giulio scompare senza una spiegazione o un apparente motivo e attorno a quel vuoto lasciato dalla sua assenza si dipana questa storia, in costante bilico tra il ricordo e la ricerca. Giulio si fa simbolo inconsapevole di un cambiamento, di un passaggio, della fine di un’epoca e l’inizio di una nuova, dove anche i luoghi consueti non sono più gli stessi, come spesso accade. Soprattutto alle persone.

Un romanzo su come si possa rimanere congelati in un momento della vita, con il mondo che va avanti e una parte di noi che rimane fissa là, incredula, continuando a cercare la risposta a quella (quelle) domanda (domande) che hanno posto uno spartiacque nell’esistenza, creando un prima e un dopo.

Il tutto condito e apparecchiato dalla voce narrante di Giorgio Ghiotti, una delle voci più belle e raffinate del panorama letterario italiano. Una prosa lirica (non a caso l’autore è anche autore di poesie) che rimane comunque sempre comprensibile e ancorata alla realtà che vuole raccontare, che non scade mai nell’esercizio di stile sterile, ma racconta davvero a trecentosessanta gradi.

Attraverso gli occhi e le memorie di Massi, scopriamo e riscopriamo ciò che il mancato addio di Giulio ha lasciato nelle vite e nei luoghi che ha lasciato indietro, da una parte all’altra di Roma, da una città all’altra d’Italia, da un capo all’altro della giovinezza e dell’età adulta.

Stefano

 

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Paul Scranton – Berlino blues

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Berlino esprime e racchiude confini. Città multietnica, antica eppure nuova. Ricca di passato, ma che cerca di dimenticare. Città divisa per tanti anni da un muro, il Muro, il cui fantasma infesta ancora le strade e i cuori dei berlinesi.

Questa storia in quattordici racconti è la narrazione della scelta e dell’influenza di quei confini sull’anima e sulle vite dei personaggi, tutti ricorrenti, tutti in qualche modo legati sulla mappa delle vie e delle piazze di cui Berlino fa sfoggio senza vanto, quasi con imbarazzo. E di nuovo si parla di confini e scelte, morali, umani, politici e ideologici. Di amicizie che durano tutta la vita e vite che non sbocciano mai davvero. Di amori che nascono e poi si spengono per mancanza di ossigeno. Di legami intrecciati, forti, fortissimi, che la vita scioglie pazientemente anno dopo anno, senza che le persone coinvolte riescano o vogliano accorgersene.

È la storia di Annika, che disegna mappe particolari senza riuscire a trovarne una che la aiuti a districarsi sulle strade del proprio futuro. Del narratore senza nome e di K., del loro amore profondo e all’apparenza indissolubile. Di Markus, Konrad e Otto, amici da tutta la vita, legati da un filo sottile che sta per spezzarsi.

È la storia di Boris che non ha più una patria e di Johann che sta per fare qualcosa di terribile per sfuggire al grigiore di giorni tutti uguali.

È la storia di vite comuni a spasso per una città straordinaria. La Berlino di Paul Scranton è un luogo effimero, quasi irreale. Non a caso il titolo originale dell’opera è Built on Sand, costruito sulla sabbia, che rende bene l’idea di qualcosa di precario, dalle fondamenta deboli.

L’incertezza è il tema centrale di un libro che non è un romanzo, non è una raccolta di racconti, non è una mappa, non è una guida. E in mezzo all’incertezza che è tutta berlinese brilla la capacità dell’autore di descrivere la profondità delle emozioni umane. Berlino Blues sfugge a qualsiasi etichetta, ma rimane ben impressa una sensazione forte dopo aver terminato la lettura. Quella che si prova al termine di un viaggio che ci ha arricchito nel profondo.

Stefano

 

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Omar Di Monopoli – Brucia l’aria

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Brucia l’aria” di Omar Di Monopoli è un viaggio a piedi nudi. Un viaggio breve e intenso, la corsa tra l’asciugamano e il mare quando la spiaggia è arroventata dal sole e rischia di ustionarti i piedi. Perché la storia è di quelle dure, che non fanno sconti, dove ogni personaggio sembra chiedere al cielo il motivo di una sfortuna così sfacciata, di una sorte che non soddisfa nessuno e se può, fa piovere sempre e soltanto sul bagnato.

Siamo a Languore, fittizia contea pugliese che è insieme una summa di tutti i sud e le zone rurali del nostro Paese. In mezzo all’umanità stremata che la popola, spicca la presenza di Rocco, segnato dalla perdita del padre pompiere, l’eroe locale che cade dal piedistallo più alto quando si scopre che molti degli incendi che era chiamato a spegnere li aveva appiccati lui. Rocco cresce con questo marchio ereditato accompagnato da pessime compagnie, quella malavita che cerca riscatto attraverso la sopraffazione. I suoi errori lo costringeranno al carcere, perdendo oltre la libertà l’amore di Nunzia. Il romanzo comincia anni dopo, ormai Rocco è un uomo riabilitato che tenta di vivere una vita rispettabile guidando (splendida contrapposizione) un’autocisterna che rifornisce di acqua un riarso comune dell’entroterra salentino. Nunzia si è sposata con un altro e ha avuto un figlio. Gaetano, il fratello di Rocco, vive nell’ammirazione del passato fuorilegge del fratello e bazzica Pilurussu, il vecchio compare per cui Rocco è finito in prigione. Dall’altra parte ci sono Peppo Canzirru e il resto della malmessa cellula di criminalità organizzata locale, mafiosi tanto efferati quanto spersi, anche loro, nell’aria soffocante della Puglia, dove anche i cattivi mirano alla vita alla cieca, ma hanno sempre troppi colpi in canna e qualcuno preso nel mezzo ci finisce sempre.

Quando un vecchio boss ritornato con l’idea di riportare la mafia di Languore alla ribalta, si innescherà una catena di eventi che coinvolgerà tutti i personaggi, riportando alla luce i segreti e i rancori che ribollivano in attesa sotto la calma apparente dell’equilibrio e metterà a dura prova il nuovo Rocco, deciso in tutto e per tutto a comportarsi onestamente e a lasciarsi alle spalle la vecchia vita.

Omar Di Monopoli è uno scrittore eccezionale. Non solo per le storie e i paesaggi che racconta, ma anche per la lingua che utilizza, un italiano aulico (di cui ha una padronanza estrema) venato di una forte gradazione dialettale che tiene lo svolgersi degli eventi e i dialoghi ancorati alla terra dove il romanzo si svolge.

Come in una corsa a piedi nudi sulla spiaggia, leggere “Brucia l’aria” può ustionare i piedi, può pungere un alluce con una pietra nascosta e viene portata a termine senza poter prendere fiato. Ma alla fine, alla fine c’è il mare, un tuffo, la sensazione migliore del mondo.

Stefano

 

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