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Gianrico Carofiglio – Le tre del mattino

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Quando finisco un romanzo che mi ha particolarmente entusiasmato, la prima cosa che desidero fare è prendere il telefono e condividere la preziosa scoperta con un amico che la possa apprezzare. Questo è un libro di quelli: per l’intensità dei personaggi, per le atmosfere, per la capacità persuasiva di Gianrico Carofiglio di accompagnarti nei luoghi più improbabili e ombrosi di Marsiglia, come nelle pieghe più oscure del cuore.

L’autore riesce a trattare con leggerezza, che non vuol dire superficialità, anzi, scandagliandone le profondità, temi delicati come la malattia, il rapporto padre/figlio, la separazione dei genitori in giovane età, l’affacciarsi degli anni della maturità con le responsabilità che ne conseguono.
Pur facendo rientrare “Le tre del mattino” a pieno titolo nella categoria “romanzo di formazione”, Carofiglio non rinuncia a dare alla sua scrittura una sfumatura di giallo. Con le atmosfere in cui tutto può accadere, le scene girate in notturna, le situazioni sospette, sembra quasi che voglia spingere il lettore, proprio come in un giallo, ad approfondire l’analisi dei protagonisti per farcene cogliere tutte le sfumature e le possibilità, anche le più improbabili. E gli imprevisti, nelle storia, non mancano, d’altronde è il racconto di due giorni e due notti non programmati, trascorsi obbligatoriamente e totalmente insonni da un padre e un figlio che si conoscono poco, che si avvicinano con guardinga diffidenza e che si devono preparare a un verdetto stabilito solo dal destino, che come in un thriller, è sempre in agguato dietro l’angolo.

Molte sono le occasioni che l’autore sfrutta per esibire l’elegante raffinatezza della sua scrittura, soprattutto con l’uso sapiente delle citazioni. Ci spiega il significato di “intenzione” quando il padre, appassionato di musica, educa il figlio all’ascolto del jazz; ci fornisce un interessante stimolo di riflessione disquisendo sulle analogie in materie matematiche e giuridiche (qui il tocco dell’uomo di legge è puntuale ma non invadente), per non parlare della citazione per eccellenza, di Francis Scott Fitzgerald, che battezza il titolo del libro: ”Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”.

L’autore ha voluto sigillare anche la chiusura del romanzo con una bellissima citazione del matematico John von Neumann, ma non la riporterò per rispetto dell’intera storia, che merita di essere letta e “vissuta” con intensità. Credo che sia proprio questa la chiave di lettura: l’intensità.
Entrambe i protagonisti, non solo il diciottenne Antonio, ma anche suo padre, il cinquantenne Claudio (va detto che il lettore non fatica a identificarsi alternativamente nell’uno o nell’altro) si scuotono dal torpore delle loro vite rassegnate e indolenti e, costretti dagli eventi, scoprono e riscoprono il piacere della vita veramente vissuta, sforzandosi di non ricadere, come già successo nel passato, nel pantano degli equivoci e del “non detto”.

Il mood malinconico e nostalgico del romanzo sembra voler suggerire proprio questo: non è mai troppo tardi per avvicinarsi e scoprirsi, ci si potrebbe pentire di aver fatto fuggire le occasioni importanti, quelle che danno una svolta e ti ribaltano la prospettiva, perché il tempo è un giocatore cinico e baro, e ti potrebbe colpire alle spalle quando meno te lo aspetti. Un altro tema, sfiorato con delicatezza e lasciato sospeso a beneficio del lettore, è quello del talento. Una lezione di vita, la più difficile forse che un genitore possa cercare di impartire al proprio figlio: non esiste delitto più grave del talento sprecato.

Carofiglio, che a proposito di talento ne ha da vendere, con questo piccolo capolavoro, più un racconto lungo che non un romanzo, dimostra di sapersi destreggiare egregiamente anche al di fuori della sua comfort zone, quella del giallista, e di avere tante cose da dire anche su quello che è la vita quotidiana, i rapporti familiari, l’incontro fra anime affini, insomma quanto di più umano ci sia.

 

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Fan Wu – I fiori di febbraio

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I fiori di febbraio, riferimento ai fiori che dopo il gelo ritrovano vitalità, è un bellissimo romanzo di formazione in chiave femminile, con protagoniste due studentesse universitarie di Canton, nei primi anni Novanta.

Cheng Ming è una brava ragazza di diciassette anni, dolce, studiosa e responsabile, ma ancora molto ingenua o, se vogliamo, piuttosto sprovveduta.
Miao Yan è la più vecchia laureanda dell’università, con i suo ventiquattro anni. La contraddistinguono una non comune bellezza, prorompente sensualità e carisma ma sopratutto cinismo, egoismo e fragilità. Insomma le due ragazze non potrebbero essere più diverse, ma come poli opposti che si attraggono, il destino le fa incontrare una notte sul tetto dell’edificio scolastico, una notte in cui Ming cura la sua malinconia suonando il violino e Yan la rottura con l’ultimo fidanzato fumando sigarette. Le due per circa un anno saranno legate da un sentimento fortissimo, di attrazione e repulsione, e fra litigate, risate e confidenze più o meno sincere si accompagneranno nel passaggio delicato verso l’età adulta. Un legame morboso che potrebbe essere solo affetto o anche “altro”, ma in un’epoca e in un paese in cui il sesso e l’omosessualità sono ancora tabù infrangibili, alle due fanciulle non è dato capire la vera natura del loro rapporto.

Ming è una acerba adolescente alle prese con un corpo che è destinato suo malgrado a cambiare, anche se lei non ne vorrebbe sapere, che cerca di rifugiarsi in un’eterna fanciullezza rassicurante, perché troppo spaventata da tutta una serie di informazioni che mancano, o sono confuse o che la fanno sentire impreparata o inadeguata.
Yan al contrario è fin troppo spregiudicata e intraprendente ma, benché consapevole della sua sensualità e delle potenzialità delle frecce al suo arco, deve fare i conti con una fragilità che non l’abbandona e con dei sensi di colpa di cui non si riesce a liberare.

I caratteri delle due ragazze sono così opposti perché sono il prodotto di famiglie con esperienze totalmente diverse: figlia unica di intellettuali esiliati in campagna durante la Rivoluzione Culturale per la prima, figlia maggiore di famiglia numerosa appartenente a un’etnia di minoranza con grandi difficoltà di integrazione per la seconda.
Una delle attrattive di quest’opera è che offre la possibilità di gettare uno sguardo su un mondo interessante come quello della Cina in una fase di profonda trasformazione, segnata da grandi contraddizioni fra i fulminei processi di modernizzazione e i non altrettanto veloci processi di emancipazione mentale.

Il romanzo ha struttura circolare, cioè inizia con Ming che dopo la fine del suo matrimonio si trasferisce nel quartiere vicino all’università che aveva frequentato dodici anni prima, all’epoca della sua intensa relazione con l’amica mai dimenticata e di cui ha perduto ogni traccia. Dopo tanto tempo, ormai cresciuta e diventata donna, Ming si reca negli Stati Uniti, a San Francisco, decisa a risolvere quel nodo inesplicabile che si porta nel cuore da sempre e a darsi la possibilità di ritrovare Yan e di farla rientrare nella sua vita.
Dopo cena vado in autobus fino a Chinatown. Non so se Miao Yan ce l’ha ancora la boutique o se ha lasciato al città, ma non me ne preoccupo. Non diceva che in qualche vita precedente eravamo legate? Se il fato esiste davvero, voglio mettermi nelle sue mani. Lo so che quando ci incontreremo andrà tutto bene: ci racconteremo che cosa abbiamo fatto in questi anni, scherzeremo sull’angoscia e frustrazione che provavo nei suoi confronti, mi racconterà dov’è stata dopo l’università e che progetti ha per il futuro, ci confronteremo sulla perdita dell’innocenza e su quanto è eccitante vivere in un paese nuovo”.

È dunque la perdita dell’innocenza la vera protagonista della storia. Innocenza alla quale si cerca di restare aggrappati disperatamente come eterni Peter Pan o innocenza che si perde nostro malgrado per colpa della crudele imprevedibilità del destino.

In ogni caso l’eleganza e la delicatezza della scrittura di Fan Wu ci rende sopportabile questa perdita inevitabile che, chi prima chi dopo, ci riguarda tutti.

 

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Federica Bosco – Il nostro momento imperfetto

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Dalla ormai collaudatissima penna di Federica Bosco esce, ne il NMI, una vera e propria radiografia di una ipotetica, ma assolutamente credibile, famiglia. Un ritratto attuale, una foto declinata in tutte le sue svariate e fantasiose possibilità. E la fantasia è una cosa che proprio non manca alla nostra autrice, che mette in scena uno schieramento di “attori”, per questa sua commedia moderna (non dimentichiamo che la Bosco è anche sceneggiatrice per cinema e TV) in cui ciascuno di noi può serenamente dichiarare di conoscere, se non tutti, almeno una buona parte dei soggetti. A mio avviso è proprio questo bazaar di varia umanità il pregio maggiore di questo intrigante romanzo, oltre al fatto che ci propone situazioni e relazioni assolutamente verosimili.

La protagonista è la non più giovanissima Alessandra, tranquilla professoressa che ha imparato a regolare la propria vita, sentimentale e non, secondo le ordinate leggi della fisica, materia che insegna all’Università di Torino, location della storia. Ale ha imparato a limare sogni e aspettative: le sue giornate non saranno così esaltanti, ma il fatto che siano scandite da regolarità e ordine le infonde sicurezza. Non è così per Nicola, suo compagno e convivente, premio Oscar per falsità e vigliaccheria, che dietro all’apparenza del fidanzato perfetto, le sta costruendo sulla testa un palco di corna degne di un cervo reale. La scoperta avviene naturalmente per caso, alla vigilia dei preparativi del matrimonio (ma perché mai Nicola le avrà chiesto di sposarlo?) sconvolgendo nel profondo Alessandra, che vede sovvertito in un nanosecondo (il tempo di un SMS inopportuno, anche questo un classico) l’ordine costituito e naturale della sua vita. La situazione si aggrava ulteriormente quando nel parco giochi delle playgirls di Nicola ci trova pure Elena, brillante avvocatessa nonché la sua migliore amica, un altro classico!

Furono solo quattro i secondi che divisero irrimediabilmente la mia vita tra il prima e il dopo. Quattro miseri secondi che si dilatarono all’infinito.
Riuscii a scomporli in ogni calcolabile sottoprodotto del tempo, scinderli in ogni unità di misura mai verificata dalla fisica, finché non si ridussero in polvere che scivolò nel collo della clessidra, mentre il mio cuore chiudeva gli occhi e moriva.
Il tempo di Planck è considerato, a oggi, il più breve intervallo di tempo misurabile.
Avrei dato qualunque cosa per tornare a quella minuscola particella appoggiata appena prima di quei quattro secondi.

Federica Bosco riesce a raccontare tutto questo con tale maestria e partecipazione che viene da chiedersi: a chi non è mai capitato un tradimento? Che si tratti di un marito, un fidanzato, l’amica del cuore, una sorella o la collega preferita: quando si perde la fiducia in qualcuno di intimo ci si sente violati nel profondo e da quel momento si ha la certezza che nulla sarà più come prima.
Da qui in poi entrano in scena gli altri personaggi, uno più colorato e vivo dell’altro, che cercano di dare una scossa alla nostra, che sta raschiando il fondo del baratro prima di tentare una faticosissima risalita. La famiglia di Ale: una mamma autoritaria dal piglio marziale che non si capacita di come abbia fatto a crescere due figlie tanto diverse: la prevedibile e giudiziosa Ale e la ribelle pazzoide scatenata Gaia. La secondogenita è quella dai mille progetti sconclusionati e incompiuti e dai due figli, ovviamente da padri diversi e sconosciuti, sempre inquieta e variabile come il tempo delle Azzorre, che inonda di sole e o che devasta tutto come la tempesta nel giro di un attimo. A completare il quadretto familiare i due nipotini, con nomi improbabili come Apollo e Tobia, uno troppo saggio e l’altro troppo infantile per le rispettive età, più il nonno, psicologo in pensione, uomo mite e dimesso che avrà sicuramente curato centinaia di pazienti ma che non è stato di alcuna utilità nel caos totale della sua famiglia. Le new entry sono l’intrigante Lorenzo, incontrato sugli spalti della piscina comunale, la sua terribile e viziatissima figlia tredicenne Greta e la peggiore delle ex mogli possibili, veramente la più perfida, avida e manipolatrice delle donne in circolazione.

Non mi dilungherò a spoilerare nulla, vi dirò solo che la vicenda è ricca di colpi di scena, momenti drammatici, romantici, comici, non manca proprio niente affinché il prodotto risulti ben confezionato e soddisfacente. Tolte alcune semplificazioni, forse per “esigenze di scena”, la struttura regge e la storia procede in scioltezza, ma come già detto, non sono tanto gli sviluppi della trama, quanto la lettura psicologica dei personaggi e l’efficacia con cui l’autrice sa leggere dentro i loro stati d’animo a rendere veramente interessante questa esperienza di lettura.

 

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Riccardo Gazzaniga – Colpo su colpo

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Leggendo questo libro viene da chiedersi: ma chi è l’autore? Un adolescente? Il genitore di un adolescente? O un alieno che si è abusivamente introdotto nel cervello di un adolescente? E se non lo è come fa a interpretarne così bene i sentimenti, le paure, gli slanci, le paranoie e le ansie come esattamente le proverebbe un/una sedicenne o un suo genitore? No, Riccardo Gazzaniga non è nulla di ciò, né adolescente né genitore, tanto meno un alieno, ma è un umano. Molto, molto umano. Questa meravigliosa e triste storia è tutta impregnata di umanità, ogni pagina ne trasuda, nelle sue più belle e più brutte sfaccettature.

Colpo su colpo, come il titolo, questo romanzo ti sfida, ti assedia, ti mette all’angolo e ti sfinisce, perché quando giungi alla fine non hai più energie, come dopo un incontro sul ring. Ti ha prosciugato, tanta è l’intensità della lettura e il coinvolgimento.

È la storia di Giada, sedicenne di Genova, alle prese con le scoperte della vita, in primis della sua sessualità che non è esattamente “regolare” come mamma Simona e papà Paolo vorrebbero che fosse. Già, perché alla loro bambina piacciono le ragazze! Giada ama Erica, per la precisione, la sua compagna di classe, nonché migliore amica, o se vogliamo dire “fidanzata”. Simona e Paolo lo scoprono accidentalmente e non riescono a farsene una ragione. Paolo, poliziotto in servizio alla volante, ci prova, si sforza, si mette in discussione. Non così Simona, rigida e piantata nelle sue convinzioni, oltretutto vincolata dal fatto che la sua carriera sta per spiccare il volo grazie alla Fondazione Coraggio e vita, capitanata dal brillante Andrea Canova, manager in ascesa dalle innegabili simpatie di destra.

Giada vive un momento di grande confusione e fragilità: lei stessa ancora non si conosce, non conosce le sue straordinarie potenzialità così come non ha idea dei suoi limiti . Si sta sperimentando: in famiglia, nelle relazioni d’amore, con la scuola, gli amici e soprattutto sta imparando quanto crudele e violenta possa essere la vita, soprattutto se non si è omologati e accettati dagli altri. Claudio e Michael, il “figo”della scuola e il suo fedele gregario, la bullizzano per la sua omosessualità, o semplicemente la prendono di mira perché è nella natura umana individuare un elemento più debole per soverchiarlo e dichiarare in questo becero modo la propria superiorità. Ma Giada, che pratica a livello agonistico la “savate”, la boxe francese, è abituata a lottare e non ha paura dello scontro fisico: alle provocazioni omofobe dei due bulli reagisce, aggredendoli fisicamente e impartendo loro una bella lezione, davanti agli occhi di tutta la scuola e ahimè, anche dei professori. Questo increscioso incidente trascinerà la ragazza in una serie di conseguenze molto gravi, dalle quali riuscirà a riscattarsi grazie all’aiuto del suo allenatore di savate, Ruggero De Roma, che a suo tempo era stato anche l’allenatore di suo padre e al quale è ancora legato da profonda amicizia.

Ruggero De Roma è un personaggio bellissimo, struggente, misterioso, con un passato terribilmente doloroso. Il vecchio campione insegna alla giovane allieva come incassare i colpi, come ammortizzarli per poi trasformarli in attacchi micidiali, e non solo sul ring, lavorando con grande rigore e disciplina. Giada dal canto suo si impegna ad assorbire le preziose lezioni impartite dal suo maestro, raccogliendo durante i faticosissimi ed estenuanti allenamenti ogni briciola di insegnamento che possa aiutarla a prevedere e ad affrontare le incursioni del nemico, che sia questo un’avversaria che la sfida sul ring, che siano i suoi genitori, i professori o , peggio ancora, quei malvagi dei suoi compagni che arrivano addirittura ai ricatti e alle molestie fisiche vere e proprie.

La vita di Giada, come spesso accade agli adolescenti, è un altalenarsi di emozioni sconvolgenti ed eccitanti e di depressioni spaventosamente annichilenti. Nel dipanarsi della storia la nostra ragazza passa dalla gloria esaltante alla disperazione più cupa, che la porta a gesti estremi: qui la narrazione si fa serrata, incalza, afferra il lettore alla gola e lo inchioda alla pagina impedendogli di scollarsi fino all’epilogo, in un turbinio di emozioni, lacrime e brividi. Sullo sfondo c’è Genova, con poco mare e molto traffico, sembrerebbe volutamente più brutta e grigia di quanto non sia realmente, coi suoi quartieri popolari e la sua viabilità terribilmente caotica, sopratutto dopo il crollo del ponte Morandi, che in questa storia assurge a un ruolo tutt’altro che marginale.

Colpo su colpo, esattamente come il titolo, questo romanzo ti fa breccia nel cuore. Riccardo Gazzaniga è davvero bravo e se , come dice lui stesso in una recente intervista, l’obiettivo fondamentale resta quello che il lettore voglia girare le pagine velocemente, per capire come andrà a finire, lo possiamo rassicurare: ci è riuscito benissimo.

 

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Michelle Obama – Becoming: La mia storia

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Non sono avvezza a leggere biografie, infatti mi sono chiesta, iniziandola, in che modo avrebbe potuto attrarmi conoscere la storia di questa persona, per altro universalmente nota; ma proprio perché di una persona e non di un personaggio si parla, ho trovato questa lettura estremamente gradevole e interessante. La curiosità poi di sapere quali potessero essere le origini di una First Lady, così iconica e nello stesso tempo così popolare, è stata una spinta sufficientemente forte da farmela divorare tutta di un fiato.

Michelle Obama è stata recentemente eletta “La donna più amata negli Stati Uniti”, ed è in effetti una delle First Lady più celebri fra tutte. Ma come ha fatto un’umile ragazza di colore appartenente alla working class di Chicago, proveniente dal South Side, mica dai quartieri alti, figlia di operai, bis-bis nipote di un qualche anonimo schiavo sepolto in chissà quale piantagione del South Carolina, come ha fatto, dicevo, a salire sul tetto del mondo, a calcare i palcoscenici più in vista, da quelli politici a quelli televisivi e ad esercitare con il suo charme e con la sua personalità così tanto potere persuasivo?

Ha scelto il marito giusto, verrebbe da dire. Oppure è stato Barak Obama così fortunato da trovare una moglie alla sua altezza? Una risposta certa ovviamente non c’è. Di certo c’è che questa coppia così bella e innamorata, così unita e anche tanto invidiata ha cambiato la Storia, non solo quella degli U.S.A. ma dell’intero mondo, lasciando un’impronta veramente significativa.

La nostra protagonista intitola la sua biografia “Becoming-la mia storia” cercando di spiegarci la magia del “divenire” e non crediate che la prima parte, quella della Michelle Robinson non ancora Obama sia meno affascinate del dopo-Barak. Quest’opera è rigorosa e impegnativa quanto la sua autrice, si compone di oltre 600 pagine e se a un primo approccio può sembrare troppo lunga, alla fine si apprezza il fatto che non si sia voluto trascurare nessuno dei tanti episodi, aneddoti, personaggi e situazioni che hanno permesso proprio il suo “divenire.

Troviamo la bambina cocciuta e orgogliosa a caccia di stelline dorate da esibire attaccate al petto; la nipotina ribelle che prendeva lezioni di piano dalla rigida e inamovibile zia Robbie; la devota figlia del sig. Robinson, che con tutta la fatica della sua malattia degenerativa non ha mai perso un giorno di lavoro.

Incontriamo la ragazza determinata a trarre dalla scuola tutte le opportunità possibili per cambiare il suo futuro, che non smette mai di chiedersi “Sono brava abbastanza?” per dimostrare sempre e ogni volta di più che sì, altroché se lo è. Conosciamo la giovane donna innamorata che capisce al volo che quello che è entrato dalla porta dello studio legale dove lavora è, e sarà per sempre, l’uomo della sua vita e la mamma affaticata e arrabbiata, che va a letto col muso perché il marito troppo impegnato non arriva mai a casa in tempo per cena.

Sono le cento, mille Michelle che ci portano in fine a conoscere quello che è il personaggio pubblico tra i più noti al mondo, offrendocelo però nella sua più nuda e cruda vulnerabilità.

Nel libro si sorride per la First Lady che incontra sua Maestà la Regina Elisabetta e con lei si lamenta a fine serata del mal di piedi per le scarpe strette, o per la fuga di soppiatto, in pantaloncini e infradito con la figlia adolescente, per uscire di nascosto in giardino e vedere la Casa Bianca illuminata per il Gay Pride Day. Ci si commuove per le visite ai soldati superstiti e ai troppi funerali di bambini e giovani uccisi dalle armi da fuoco e si condivide la fatica estenuante per le campagne elettorali, così come le trepidanti attese dei risultati.

Sì, perché la narrazione è così efficace che non perde mai di interesse, benché la storia sia ben nota! Ma se sappiamo già tutto, perché a portata di Internet, tutto gia visto, letto e sentito – considerando che per quasi un decennio la First Family è stata in pasto ai giornali e alle TV di tutto il mondo – allora quale è il valore aggiunto di questa biografia? Secondo me Michelle Obama ha voluto trasporre su carta quello che è stato il leitmotiv della sua vita: “Sono brava abbastanza?”, non per raccogliere consensi e complimenti, direi che a conti fatti di quelli non ne abbia ormai più bisogno, ma per infondere ottimismo e fiducia e incoraggiare tutti coloro che, pur partendo svantaggiati come lei, vogliono trarre dalla loro vita il massimo delle possibilità. Raccontare come impegno e determinazione possano dare senso alla propria esistenza.

Divenire = Evolversi, crescere senza mai smettere di migliorarsi.

Dalle sue parole traspare chiaramente che per lei ottimismo e fiducia sono doveri improrogabili nei confronti delle generazioni future e vivere una vita straordinaria, dimostrando che lo straordinario può essere alla portata di tutti, trovo che sia una bellissima lezione.

 

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