Luoghi di libri

Alexander McCall Smith – Le lacrime della giraffa

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La scorsa estate, al mare, mi è capitato di assistere ad una fortunosa scoperta. Un ragazzino che giocava tra le onde, con la sua maschera da sub, ha trovato sul fondale qualcosa di luccicante. Strillando di gioia ha riportato a riva un anello d’oro, non un gingillo, ma una vera fede con incisi tanto di nomi e data di matrimonio.

Ecco, io mi sento un po’ così: sono consapevole che il mare magnum della letteratura custodisca tesori ben più grandi e preziosi, ma io giocando – attratta da titolo e copertina come succede ai bambini – ho pescato il mio personale gioiellino inciampando per caso ne Le lacrime della giraffa.

Questo titolo non è il primo, ma il secondo, della fortunata serie firmata da Alexander S. Smith con protagonista la signora Precious Ramotswe, una donna africana, trentenne, di “corporatura tradizionale”, che decide di fondare la Ladies’Investigation Agency n.1 del Botswana.

Eh sì, un’investigatrice, donna, in Botswana: decisamente – almeno per me, divoratrice di gialli – qualcosa di insolito e originale!

Alexander S.S. è un ex professore di medicina legale a Oxford, nato e cresciuto in Africa, che ci restituisce l’amore per la terra natia facendoci dono di questo incredibile personaggio, che una volta scoperto e conosciuto non si può che amare ed affezionarcisi come si farebbe con un’amica (confesso che dopo il primo ho divorato altri due suoi libri).

Siamo a Gaborone, capitale del Botswana, Precious Ramotswe, provata dal fallimento del suo matrimonio con un musicista mascalzone e dalla prematura morte del suo bimbo neonato, decide di vendere il bestiame ricevuto in eredità dal suo adorato padre e di investire il ricavato aprendo un’agenzia investigativa, la prima in Botswana e soprattutto la prima totalmente gestita da sole donne, lei e la sua occhialuta segretaria, la perspicace signorina Makutsi.

L’ufficio, che si trova vicino all’officina meccanica del mite signor JLB Maketoni, accoglie clienti che, sempre più numerosi, chiedono alla nostra investigatrice di ritrovare mariti o figli scomparsi, di controllare adolescenti ribelli, di recuperare automobili rubate e di svergognare medici corrotti e dipendenti infedeli.

Storie di più o meno ordinaria, o straordinaria amministrazione, direte voi, ma i casi investigativi, sebbene siano tutt’altro che banali, in realtà non sono che una scusa, il veicolo che ci porta a viaggiare attraverso il piccolo paese africano per conoscerne i suoi abitanti, la sua storia, le sue abitudini, così diversi dal pensiero occidentale, fornendoci nuove e interessanti prospettive.

Mma Ramotswe e Rra Maketoni (il simpatico meccanico che pazientemente attende una risposta affermativa alla sua proposta di matrimonio) sono profondamente umani, perché umano, inteso come gentile, emotivo, sensibile, è l’approccio con cui si pongono i due imprenditori verso i rispettivi clienti, sia che si tratti di dispiegare un mistero o un dramma familiare o che si parli di un carburatore da pulire e sistemare. I clienti sempre prima di tutto. La serietà professionale è la cifra distintiva che fa prosperare le loro attività e soprattutto per Precious Ramotswe, quella che le fa raggiungere fama e notorietà ben oltre i confini della città. Leggere dei suoi casi da risolvere e delle sue matasse da dipanare è un’ottima scusa per ficcare il naso in Africa, allargare lo sguardo su sconfinati orizzonti e per farsi accompagnare lungo strade sterrate insidiose, piene di buche, di serpenti velenosi, in cui si possono fare incontri pericolosissimi come coccodrilli o stregoni. Ma anche se il territorio è spesso ostile nulla può fermare la determinazione di chi, consapevole di avere un talento speciale, ha deciso di metterlo a disposizione degli altri. Del suo infallibile intuito, della sua propensione alla riflessione filosofica e alla meditazione, della sua compassione ed empatia Mma Ramotswe fa generosamente dono a chi ha bisogno di ordine nella propria vita, per rimettere le cose al loro posto, anche se sono passati anni, anche se il passato non si può più modificare e il futuro, forse, neanche. Quando c’è bisogno di pulizia, di chiarezza Mma Ramotswe c’è, costi quel che costi, e fa la differenza.

Il cielo terso che abbaglia di un azzurro vibrante, il cono d’ombra fornito da un albero, l’insostituibile furgoncino bianco così come l’immancabile tazza di tè rosso, sono tutti elementi che nella lettura diventano punti di riferimento, bussole che ci riportano sempre da lei, a questo meraviglioso personaggio, che parla con saggezza senza essere mai saccente, di cui mi sono innamorata e che avevo tanta voglia di presentarvi. Sono certa che con la sua intelligenza, la delicatezza dei toni e degli sguardi, fermi e diretti, i modi sempre educati ma irremovibili, avrà qualcosa di interessante da dire anche a voi.

Manu

 

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Alice Cappagli – Niente caffè per Spinoza

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Niente caffè per Spinoza” è un romanzo delicato, come può essere delicato l’equilibrio fra due persone che non si conoscono, che imparano a fidarsi e a fare insieme un ultimo pezzo di strada, una verso il finale e l’altra verso un nuovo inizio.

L’autrice esordiente Alice Cappagli mette in questa tenerissima storia tutti gli elementi che compongono anche la sua personale esperienza: la musica (lei stessa è violoncellista nell’orchestra della Scala), la filosofia (materia in cui è laureata) e la luce di Livorno (sua città natale), ingredienti che mescola con sapienza e con dosaggi misurati e precisi, così da produrre un risultato che ne rende facile e fruibile la lettura. Questo vale anche per chi, come me, è nudo e crudo o quasi, di filosofia, ama la musica, anche se non la sa suonare però ne ammette il potere terapeutico, e non conosce Livorno, ma “riconosce” l’aria, il sale, l’atmosfera che si respira in una qualsiasi città di mare italiana.

La storia, narrata in prima persona, ha come protagonista una giovane livornese, Marvi, o più precisamente Maria Vittoria – perché i nomi sono importanti! – disoccupata e in piena crisi coniugale, che accetta un lavoro come badante presso un anziano non vedente, un tempo professore di filosofia, che per moltissimi anni ha insegnato ad allievi che ancora lo ricordano e lo passano a trovare.

Il vecchio filosofo vive da solo, in un grande appartamento invaso dalla carta: libri, giornali, lettere e fascicoli sono in ogni dove. Sporadicamente riceve le visite di una figlia nervosa e impaziente e di due nipotine adolescenti e inafferrabili, quelle più frequenti di alcuni vecchi amici, anch’essi filosofi o eruditi, oltre alle attenzioni della vicina “del KGB” e le incursioni della temibile e terribile cognata, la Vally.

Ma il pover’uomo, più che di qualcuno che cucini, gli ricordi di prendere le medicine e badi alla casa, ha bisogno di un paio d’occhi per continuare a leggere.

La lettura è infatti il principale compito che il Prof.Luciano Farnesi affida a Maria Vittoria, che spesso deve posare le stoviglie, asciugarsi le mani nel grembiule e cercare il tal libro, la tal frase, nel tal capitolo, seguendo le precise istruzioni del suo datore di lavoro. In questa surreale caccia al tesoro al buio, il professore, pur non potendo vedere e affidandosi solo alla sua memoria, indica la strada alla sua “guida” per orientarsi nell’infinita biblioteca di casa, per ritrovare e far rivivere parole che altrimenti rimarrebbero sepolte. Il manuale di Epitteto, le opere di Epicuro, i pensieri di Pascal, i dialoghi di Seneca, i frammenti degli stoici ma anche Hume, Schopenhauer e naturalmente Spinoza sono i compagni che suggeriscono al professore come affrontare le piccole grandi questioni quotidiane , dimostrando a Maria Vittoria come la filosofia possa essere molto più pratica e concreta di quanto si pensi. ”Bisogna che io legga nelle piccole cose verità universali. Ma mi occorre la sua collaborazione”, chiede il prof. Farnesi.

Un’altra grande protagonista del romanzo è la luce e non è un caso se il nostro personaggio è cieco ma si chiama Luciano.

La luce che proviene dal mare invade con prepotenza la terrazza dell’appartamento dove il professore ama scaldarsi al sole, si infiltra tra i vetri che Marvi spolvera e lucida, si colora al tramonto nella finestrella della cucina del microscopico alloggetto della ragazza, sale e scende di intensità a seconda delle condizioni metereologiche che il prof. Farnesi riesce a indovinare dall’umidità della balaustra, dal canto più o meno intenso degli uccellini che popolano il suo balcone, o dal cigolio della porta del bagno.

«E mentre il sole entra a secchiate dai vetri, mentre il libeccio “passa in un baleno dall’orizzonte al midollo, modificando i pensieri e l’umore”, il profumo della zuppa di lenticchie si mescola a i Pensieri di Pascal, creando tra i due un’armonia silenziosa e bellissima».

Così la vita di Maria Vittoria, incrociandosi con quella di Luciano, mano a mano si illumina. Dal grigio della noia e della prigionia di giorni senza speranza né dignità, si colora con uno spettro di tonalità a lei prima sconosciute, la nebbia si dirada e con più precisione e nitidezza la ragazza riesce a intravedere i contorni di un possibile futuro.

Ad assistere a questi ineluttabili cambiamenti c’è la figlia Elisa, affannata e problematica. Elisa nei suoi spostamenti porta sempre con sé la sua viola. La musica che suona sembra essere l’unico linguaggio comune che hanno lei e suo padre, l’unico con cui riescono a trasmettersi messaggi comprensibili e significativi per entrambe.

Così, fra decisioni ardue, come quella di Marvi di lasciare definitivamente il tetto coniugale e incontri fortuiti/fortunati come quello con Angelo (l’abbiamo già detto che i nomi sono importanti, vero?) la vita segue la sua strada, i nodi si sciolgono, anche quelli che appaiono più ingarbugliati, perché spesso è difficile distinguere i ricordi veri da quelli fasulli, i desideri propri dal desiderio di assecondare gli altri, e i nostri personaggi veleggiano fin dove sono destinati ad approdare.

“La virtù di un uomo non si misura dai suoi sforzi, ma da ciò che fa abitualmente”: di tutte le lezioni impartite negli anni dall’anziano professore questa è quella che ha più potenza e riverbero. Marvi infatti si accorge che la grande e ricca biblioteca si trasforma, man mano si svuota e le parole trovano altre strade per circolare.

“- Un libro di per sé non è nulla se non trova qualcuno che lo fa vivere nella lettura.
– Come fa lei, no?
– No. Io uso la memoria, ormai, che è fallace, ma il libro merita di rinascere ogni volta.
Scoprii cosí, per caso e inaspettatamente, che ne sceglieva
uno al giorno per regalarlo.
– Ma non le dispiace un po’?
– No, sarei egoista e ingeneroso se non lasciassi volare verso il traguardo i miei compagni di viaggio”.
Secondo Alice Cappagli se esiste un insegnamento che si può apprendere dai libri e che c’è sempre una possibilità di riscatto, una ripartenza e che anche dal dolore, dalla malattia e dal lutto si impara qualcosa.

Lettura consigliatissima per garbo e intelligenza.

Manu

 

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Maria Elisa Aloisi – Il canto della falena

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Mondadori esce a luglio in edicola con Il Canto della Falena, un legal thriller che si legge tutto d’un fiato e che si fa apprezzare riga per riga, perché scritto bene, con competenza e grande sensibilità.

L’autrice, che ha vinto il Premio Tedeschi 2021 e si è guadagnata la pubblicazione nella serie ORO de “Il Giallo Mondadori”, è una brillante esordiente siciliana, l’avvocato Maria Elisa Aloisi, che in questo giallo oltre a trasporre la sua esperienza professionale di togato ci trasmette il profondo amore per la sua terra.

Siamo a Catania: Ilia Moncada, giovane avvocato penalista dello Studio Marra, si trova costretta suo malgrado ad assumere la difesa di un caso di omicidio. Si tratta dell’uccisione di un noto commercialista della città, Adriano Politi, assassinato con due colpi di pistola nel suo chalet in località Nicolosi, sulle pendici dell’Etna. Il cadavere viene ritrovato con il volto coperto da un fazzoletto, quasi che l’omicida abbia pietosamente voluto coprire con la stoffa l’ultima luce negli occhi della vittima.

Accusata dell’omicidio è la moglie, Speranza Barone, in quanto tutte le prove indiziarie convergono verso e contro di lei.

Il caso è complicato e Ilia non se ne vorrebbe incaricare, sia per il grande risvolto mediatico, sia perché il pubblico ministero che ha assunto l’accusa è Federico Salini, ex compagno di università ma soprattutto ex fidanzato. Invece la sua amica Irene Marra, avvocato civilista nonché figlia del titolare dello studio dove lavora Ilia, con grande determinazione e poca delicatezza ce la trascina dentro a forza, così come le “impone” la conoscenza del fascinoso Andrea Belmonte, l’astuto giornalista e conduttore televisivo, “in nome della tradizione dello studio, che ha sempre avuto un occhio di riguardo per stampa e TV”.

In questa accattivante storia la carrellata dei personaggi è paragonabile a un vassoio di dolci in una pasticceria siciliana: ce n’è per tutti i gusti! Oltre agli attori principali, ho trovato particolarmente gustosi un paio di macchiette, come ad esempio l’avvocato Cristoforo Dito (un disastroso civilista tanto pasticcione quanto borioso, con velleità da celebrity televisiva) ma in special mondo Mariano, il quale prima di diventare il segretario dello studio di Ilia era stato un suo cliente – una specie di rubagalline sfigato, portato a delinquere dalla malasorte – con un cuore buono come il pane, che si prende cura di Ilia con uno zelo e una premura che vanno ben al di là dei suoi compiti professionali. Mariano con la sua parlata popolana, piena di strafalcioni e di termini dialettali (divertentissimi!) ci fa sentire più forte l’aria di Catania, perché neanche per un attimo ci si può scordare di essere nella bella città etnea: si gira la pagina ed ecco spuntare una piazza, una via, uno scorcio del porto.

Maria Elisa Aloisi, catanese purosangue, ci tiene tantissimo a farci da cicerone per le strade della sua città, che riluce di bellezza anche se il sole è quello pallido autunnale e non quello rovente dell’estate.

Passeggiamo insieme a Ilia sul lungomare e ci sediamo volentieri insieme a lei ai tavolini del bar, di cui non fatichiamo a immaginarci il colore, l’ombra delle tende, sentiamo attorno a noi il rumore del traffico o lo sciabordio delle onde del mare, tanto l’autrice è brava a portarci dentro la storia.

Un altro bellissimo personaggio, molto dolce, e quello della zia Ofelia, il cui affetto compensa quello della mamma, prematuramente perduto da Ilia quando era molto piccola, e quello del papà, che si è allontanato risposandosi con un altra donna a cui lei non si è mai affezionata.

Forse è per questo che il nostro giovane avvocato ha una particolare sensibilità per Tecla, la figlia adolescente dell’imputata Speranza Barone e della vittima Adriano Politi, perché, come lei, la ragazzina rischia di perdere di colpo la figura sia materna che paterna e per questo si aggrappa più forte a quella della nonna, Magda Politi.

Quest’ultima è un personaggio chiave, come testimone del processo e in quanto madre del commercialista assassinato: non era fatto semplice darle la caratterizzazione giusta. Eppure di Madga ne vediamo ogni gesto, ogni lampo negli occhi, cogliamo ogni sfumatura della sua voce. Quando uno scrittore riesce a delineare così bene i suoi personaggi tanto da farceli sentire intimi, vicini, a empatizzare con loro, io, signori miei, questo lo chiamo talento.

Anche dall’intreccio della storia – sul quale non mi piace indugiare troppo per non togliere nulla al piacere della lettura – si denota il talento. Una scrittrice di legal thriller che è a sua volta una penalista potrebbe facilmente scivolare nella saccenza, diventare pedante con i tecnicismi. La Aloisi, invece, sa di cosa parla, trasmette tutto in modo chiaro, con competenza, ma usa un grande rispetto verso il lettore, non lo blandisce né lo annoia mai, e secondo me questo è un dettaglio non trascurabile.

Mi accorgo ora di aver parlato poco del personaggio principale, Ilia Moncada (qualcosa mi dice che la ritroveremo presto in nuove avventure). Poco male, lascio a voi il piacere di fare la conoscenza con questa che si prefigura essere (cito la copertina Mondadori) una nuova stella nel firmamento del giallo giudiziario. Ma si riferirà all’avvocato Moncada o all’avvocato Aloisi?

Manu

 

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Giulia Caminito – L’acqua del lago non è mai dolce

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Nella cinquina dei finalisti dell Strega 2021 troviamo L’acqua del lago non è mai dolce, di Giulia Caminito, terzo romanzo dell’autrice, meritevole di attenzione al di là del piazzamento al Premio.

Il lago del titolo è quello di Bracciano, dove l’acqua non è mai dolce ma sa di benzina, di fango, di creme solari, i fondali nascondono relitti e segreti e le sponde raccolgono i frammenti della vita del paese. Come il lago, un vulcano spento, la protagonista, il cui nome viene rivelato solo nelle ultime pagine del romanzo (tanto che a un certo punto della lettura ci si ritrova a chiedersi se mai lo si scoprirà) cova in silenzio rabbia e ribellione, sentimenti feroci pronti a esplodere e a disseminare lapilli e lava su chi le sta intorno, amici o nemici che siano.

Il perché di tanta furia lo si capisce facilmente appena ci si fa un quadro della situazione familiare di Gaia (eccolo, il nome, che più contraddittorio non potrebbe essere). Cresciuta da Antonia, madre autoritaria, dal pugno di ferro e indurita da una vita cattiva e sfortunata, vive insieme al fratellastro Mariano, due fratellini gemelli e il padre, rimasto invalido a seguito di un incidente sul lavoro. Gaia condivide con loro spazi angusti, tristi e sporchi, vivendo in quella povertà che non è fame ma che significa non avere mai niente di nuovo o di proprio, che ti costringe all’umiliazione del brutto, a recuperare oggetti riciclati per i più svariati usi. Gaia lotta quotidianamente per farsi strada senza avere né bussole né mappe e ingaggia continue battaglie, sia sul piano dell’identità, sia sul piano dell’insubordinazione alla madre, tanto insensibile quanto inflessibile.

Il romanzo è spesso un vero pugno allo stomaco, la protagonista non si fa amare, anzi, ma la Caminito riesce a farci provare lo stesso sentimento di tenerezza, come verso una figlia da proteggere o una sorella da difendere.

È un bel romanzo, la prosa può forse spiazzare, ma non annoia mai e si fa leggere tutto d’un fiato.

Manu

 

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Emanuele Trevi – Due vite

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Le settanta pagine in cui Emanuele Trevi ci racconta la sua esperienza di vita con due amici, due scrittori purtroppo già scomparsi, Pia Pera e Rocco Carbone, non mi sono piaciute subito, di primo acchito. Non avevo mai letto nulla di Trevi, prima d’ora, non ne conoscevo la scrittura e l’ho trovata piuttosto impegnativa, (ma si sa che a volte le aspettative, la stanchezza dei giorni, le congiunzioni astrali…), insomma mi è sembrata poco fluida, troppo pretenziosa, con concetti astratti molto articolati. Ad una seconda lettura ho capito che era sbagliato il mio approccio: non ci si può accostare a pagine così intime se non con il dovuto rispetto e con rigorosa attenzione. Quindi direi che se quello che state cercando è una lettura da passatempo estivo, forse non state facendo la scelta giusta.

Emanuele Trevi intitola il suo lavoro “Due vite”, anche se in realtà sono molte di più quelle che si intrecciano nel raccontare il passaggio terreno di due persone, e questa dualità mi è sembrato che si potesse interpretare in più modi.
Intanto sono ovviamente due gli “ospiti” in questa narrazione autobiografica , perché l’autore ci racconta cosa è stato per lui fare un pezzo di strada con Rocco e Pia, due esistenze che si sono fuse con la sua per una manciata di anni per Carbone, qualcuna di più con Pia.

Due dunque, sono le vite del Trevi stesso, quella con e quella senza di loro.

Due vite ha avuto la fortuna di vivere la sfortunata Pia, che prima di ammalarsi ha riconosciuto e ascoltato la voce interiore che l’ha allontanata dalla frenesia milanese per portarla a congiungersi con la vera se stessa in versione bucolica; prima scrittrice, traduttrice e studiosa e poi felice coltivatrice di bellezza e poesia nel suo giardino segreto nelle colline toscane.

E infine sono due le vite che Trevi ipotizza si sperimentino su questa terra: quella materiale, in carne e ossa, e quella dello spirito, capace di tornare a divampare se il sacro fuoco dell’immaginazione riesce, con una scintilla, a riaccendere il ricordo. “Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno”.

È questo lo sforzo dell’autore, celebrare il più puro dei sentimenti, l’amore declinato nelle molteplici forme dell’amicizia, che non si arrende al fato malevolo, alla malattia, allo scorrere inesorabile del tempo. Uno sforzo per riportare Rocco e Pia – come chiunque si sia amato- qua fra noi, “ingombranti come un tavolo, una lampada”, rievocandone fin nel dettaglio le figure, le parole, i difetti, le manie, tutto ciò che fa di una persona “quella” persona, che ce la rende cara e insostituibile, e soprattutto indimenticabile.

Manu

 

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