Luoghi di libri

Piero Colaprico – Requiem per un killer

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Chi è davvero Marco Michele Sigieri e come deve sentirsi da quando gli hanno annunciato che morirà per un sarcoma? Chi è si fa presto a dirlo: un killer professionista, irreprensibile e alquanto fantasioso che agisce per conto del calabrese don Benigno Morlacco, potente e ricchissimo boss di una delle ‘ndrine che da anni si sono stabilite in Lombardia e fanno il bello e il cattivo tempo impossessandosi di industrie, commerci, aree edificabili. Ma Marco Michele – Emme Emme per gli amici – è anche un sovrintendente della Omicidi pluripremiato per la sua indefessa attività di tutore dell’ordine. Un uomo ambiguo? Doppio? Forse, ma qui si pone la vecchia domanda su quanto la Giustizia abbia a che fare con la Legge. Già, perché Sigieri, omicidi commissionati dal boss a parte, ha in mente un piano preciso da giustiziere e intende portarlo a termine prima che il sarcoma termini lui. A sparigliare le carte arriva la richiesta del boss di occuparsi di una bella e determinata Top Manager, Mira Scarlatti: o accetta le condizioni di Morlacco o, ahimè, deve morire. Marco, che ha giurato di far fuori chiunque, ma mai donne e bambini, non può tirarsi indietro. Salva Mira imponendole di accettare l’accordo e un attimo dopo se la ritrova a fianco come complice, pronta a far fuori il Morlacco con il suo aiuto. Ciò che accade in seguito lo lasciamo scoprire ai lettori che non mancheranno di sorprendersi, divertirsi e tremare.

Di sicuro Piero Colaprico ha creato con questo libro ironico e a tratti surreale, un personaggio straordinario e indimenticabile per simpatia e illimitate capacità di sopravvivenza; un personaggio che è anche un formidabile lettore e proprio nei libri ha trovato il modo di andare avanti nel suo mestiere (nei suoi mestieri) senza impazzire:
Riprendo in mano il sommo romanzo che avevo iniziato ieri: leggere è davvero stata la cosa migliore di tutta la mia vita. Imparare a leggere e appassionarmi ai libri è stata una medicina. I libri, come ha scritto Umberto Eco, se sono ben confezionati ti sollevano dalle tue scarpe e ti fanno calzare le scarpe dei personaggi. Diluisci la tua vita reale con le vite immaginarie o – mi sono sempre chiesto – realissime? Cioè, quanti scrittori scriverebbero così bene se non conoscessero alla perfezione il materiale umano che maneggiano?

Un personaggio che non smette di porsi domande su ciò che fa e gli accade intorno e ha piena coscienza – lui, poverissimo calabrese di nascita, arruolato dalla ‘Ndrangheta fin da ragazzino per ripagare il debito di studi e mantenimento – di cosa sia la mafia e non solo quella che tale si dichiara:
La mafia non è solo quella con cui lavoro io, la mafia è tutto quello che copre le verità sotto i veli dell’amicizia, dell’appartenenza, della vigliaccheria, della comodità, dell’idea molto italiana che il potente non va sfruculiato: perché, metti che magari si ricorda.

Un libro, questo di Colaprico, arguto e pieno di sorprese, emozionante e divertente, dai dialoghi brillanti e dai personaggi – tutti, senza eccezione – estremamente reali.

Francesca

 

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Davide Longo – La vita paga il sabato

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Davide Longo è stato uno dei tre finalisti al Premio Scerbanenco del 2022 e di sicuro non c’è da meravigliarsi. Quarto volume delle avventure di Vincenzo Arcadipane “…commissario di origine lucana, cinquantadue anni, la cui aria da uomo qualsiasi non deve ingannare” e del suo ex capo, l’enigmatico e profondamente intuitivo Corso Bramard, La vita paga il sabato racconta una vicenda di amore e vendetta, una vendetta studiata nei minimi dettagli e consumata dopo lunghi anni di attesa – da cui il titolo: anche se tardi, la vita finirà sempre per presentarti il conto da pagare.

Tutto inizia con il ritrovamento dell’anziano produttore cinematografico Terenzio Fuci, il cui cadavere giace al posto di guida della sua auto abbandonata su un prato nel piccolo borgo di Clot adagiato in una valle non lontana da Cuneo, la stessa dove molti anni prima il fratello imprenditore di costui, Amilcare potente uomo della Democrazia Cristiana e del Vaticano, aveva voluto la costruzione di una diga. Si sa che in quell’auto, insieme a Fuci, c’era la moglie, Vera Ladich, un tempo attrice famosa e nota per il suo sguardo profondo e inquietante, nata a Clot con il nome di Anna Mattalia. Vera è scomparsa. Rapita e poi uccisa come il marito? Forse. Ma da chi e perché? E per quale motivo Terenzio e Vera erano a Clot dove non venivano da tempo immemorabile? Chiamato a indagare con la sua squadra formata dal fido Pedrelli e da Botta e Lavezzi, Arcadipane recupera anche Bramard reduce da una brutta operazione. Ma Clot, lungi dall’essere il tranquillo e sonnolento borgo che chiunque si aspetterebbe di visitare, nasconde ben altri e antichi segreti. Toccherà a Bramard far luce su di loro grazie a una ricerca più storico-antropologica che poliziesca, mentre Arcadipane, con non poca fatica e molti viaggi, ricostruirà una storia di dolorosi inganni, ricatti, malattie e misteri ben celati.

Arcadipane e Bramard sono ‘sinonimi e contrari’, caratteri diversissimi, ma complementari, come due matematici capaci di risolvere la stessa equazione seguendo strade diverse. Intorno a loro si muovono l’ex moglie di Arcadipane, Mariangela, e la sua compagna Ariel – straordinario personaggio -, la compagna di Bramard, Elena, il cane a tre zampe Trepet, gli abitanti di Clot e la stravagante poliziotta Isa. Esilaranti le elucubrazioni del commissario sui tic e le manie dei torinesi, meno quelle sul passare del tempo e il disfarsi del corpo, sulla sua incapacità di comprendere a pieno chi ama o ha amato, di trovare il tono, l’umore e le parole giuste per entrare in contatto con gli altri.

La prosa di Longo ha una qualità insolita e brillante con dialoghi in punta di fioretto e perfette descrizioni dei luoghi e della natura; una capacità non comune di presentare con pochi tratti sapienti i molti personaggi che popolano questo giallo imperdibile.

Francesca

 

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Fabrizio Vangelista – Porto di mare

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Porto di mare è una fermata della metro milanese nel quartiere del Corvetto poco sopra San Donato Milanese. Una zona che mescola vecchi edifici fatiscenti abitati da un’umanità marginale con aree verdi e palazzi moderni, in una commistione tipica delle grandi aree urbane. Emarginati, drogati, gang criminali, extracomunitari popolano questa porzione di periferia e costituiscono il cast del giallo di Fabrizio Vangelista. Un giallo che è forse più un romanzo sociale, molto duro, molto disperato e molto umano.

Marta – una vita deludente alle spalle, una famiglia di origine affollata di presenze, una violenza carnale da dimenticare – vive in uno di questi vecchi edifici. Nello stesso palazzo abitano, fra i tanti, Luciano e Tony. Ed è con Luciano che Marta spera d’iniziare una nuova storia. Perché le piace, le piacciono i suoi occhi buoni ed è convinta che anche lui provi qualcosa per lei. Ma la sera in cui dovrebbero incontrarsi, lui non compare. Marta attende a lungo seduta sulla loro panchina preferita e infine decide di bussare alla porta di Luciano. Lui è lì, in poltrona e sembra dormire. In realtà è morto e tutto fa pensare a un’overdose di eroina. E così la ritiene la polizia. Ma Tony non ci crede: sono più di vent’anni che Luciano è pulito. Anche Marta ne è convinta, non si rassegna e decide di scoprire chi ha ucciso Luciano e perché lo ha fatto.

Pensò alla vita ingiusta e al destino crudele che si era abbattuto ancora una volta su di lei, povera disgraziata. Poi si ricordò di aver letto da qualche parte che il destino altro non è che un modo per definire la rassegnazione di quelli che non hanno la forza per padroneggiare la propria vita. Si accese un’altra sigaretta.
«Troverò chi l’ha ucciso. Fosse l’ultima cosa che faccio», si disse.

Marta fruga fra le cose del morto e scopre un’agendina. Un’annotazione la colpisce: Luciano si vedeva spesso in un boschetto popolato da tossici nella zona di Rogoredo con una certa Greta.

In parallelo alla vicenda principale scorre quella dei malviventi di zona: il capetto che si fa chiamare il Barbaro e dichiara di appartenere al gruppo fascista Lineadura impegnato a cacciare zingari ed extracomunitari dal quartiere. In realtà fa affari con loro e si appoggia ai giovani Nathan e Ruben spedendoli a rapinare farmacie o a spacciare nel parco popolato da tossici nella zona di Rogoredo. Lo stesso parco dove Marta si aggira alla ricerca di Greta nella speranza che possa fornirle un movente per la morte di Luciano.

Vangelista mostra di essersi accuratamente documentato su questo mondo marginale e dolente, esseri umani che camminano al nostro fianco quasi senza che ci si accorga di loro. E se questo accade, spesso chiudiamo gli occhi per non vederli come sembrano fare le forze dell’ordine nel libro, forse perché la guerra contro la droga sembra persa in partenza. Eppure, per quanto disperata e avvilente possa essere la trama di questo buon romanzo, essa contiene nel suo finale molte note positive che spingono a credere che per tutti, senza eccezioni, esiste una possibilità di salvezza e di riscatto, una speranza racchiusa nell’amore, nella comprensione e nel feroce desiderio che la vita prevalga su tutto.

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Paolo Panzacchi – Fantasmi

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Giulio avrebbe tutto per essere, se non felice, almeno sereno: trentacinque anni, un ottimo lavoro, una moglie, Carlotta, ricca e che lo ha amato e voluto a tutti i costi, una bella casa, una macchina potente e una passione per la musica dei Massimo Volume retaggio della sua lunga amicizia con il vulcanico, positivo e creativo Mario.

E proprio qui sta il punto dolente, anzi tragico, della storia, il perché Giulio è un uomo sull’orlo del baratro, disperato, arrabbiato con se stesso, vittima di quella che viene comunemente definita ‘sindrome dell’impostore’: il non ritenersi all’altezza dell’apprezzamento altrui e neppure del proprio, l’idea di essere una nullità che nella vita ha sbagliato tutto. Di essere un Fantasma che nessuno, in realtà, vede.

Lui era migliore di quello che era diventato, di quello che si era costretto a diventare, ma non aveva mai avuto il coraggio di dimostralo, la voglia di prendere la vita per le briglie e portarla dove davvero voleva.

E tutto questo perché, quindici anni prima dell’inizio di questa storia che si svolge nel giro di pochi giorni, mentre si trovava in auto con il suo carissimo amico Mario dopo una serata da sballo, Giulio ha provocato un terribile incidente al quale lui è sopravvissuto e Mario no. Neppure la fuga a Londra e il duro lavoro svolto laggiù hanno cambiato le cose. Neppure il ritorno in Italia, l’inizio di una proficua attività e il matrimonio con Carlotta sono serviti a cancellare il dolore, il rimorso, i sensi di colpa che Giulio si porta addosso come un fardello troppo pesante da sopportare senza l’aiuto di alcool e antidolorifici. La vita con Carlotta è diventata ormai un cumulo di macerie, uno scambiarsi insulti e cattiverie ogni giorno, un accusarsi di superficialità e insensibilità. Oltretutto, lei vorrebbe un figlio, lui no. Lei guarda alla vita. Lui alla morte. Dovrebbero separarsi e smettere di farsi del male, ma nessuno dei due ne ha il coraggio troppo occupati a chiedersi cosa ne penserebbero le loro famiglie, gli amici, la società. Intanto lei ha un amante, Diego, e lui una vita di tormenti e mortificazione del corpo e dello spirito.

Qualcosa di buono potrebbe accadere a Giulio dopo l’incontro con l’enigmatica Greta, di quindici anni più vecchia di lui e come lui strapazzata dalla vita, ma quando si è così tristi e sconfitti è difficile avere la forza per vedere una possibile luce alla fine del tunnel.

Paolo Panzacchi, con prosa accorata e partecipe, trascina il lettore in una spirale perversa e sembra dire, attraverso i suoi personaggi, che le uniche cose in grado di salvarci come esseri umani, non importa quali e quanti sbagli possiamo aver commesso, sono l’amore, il perdono e la comprensione di noi stessi e degli altri.

Francesca

 

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Emmanuel Carrère – Yoga

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Emmanuel Carrère è, soprattutto ma non solo, un maestro della scrittura autobiografica. Compito non facile perché qui barare è quasi impossibile, inventare talvolta si può ma con parsimonia e comunque, la verità o la verosimiglianza dei ricordi restano, pur sempre, elementi discutibili. Cosa ricordiamo davvero e con quanta onestà ricordiamo?

Detto questo, Yoga non parla solo di come praticare questa particolare disciplina orientale, di sicuro non si addentra nelle sue componenti filosofiche, ma si concentra piuttosto sul potere della meditazione e le sue molteplici forme e definizioni. Tant’è che inizia proprio con un seminario sulla meditazione al quale l’autore partecipa con l’intenzione – lui che lo yoga lo pratica da trent’anni – di scrivere un arguto saggio sulla sua esperienza. Siamo nel 2015, Carrère si considera un uomo felice, capace di tenere a bada i demoni che da anni lo tormentano, i cani neri della depressione, ma d’improvviso tutto cambia. È costretto a lasciare il centro Vipassana in seguito alla strage di Charlie Hebdo e la morte di un caro amico. Poco dopo è la depressione a piombargli addosso di nuovo e costringerlo a un lungo ricovero nell’ospedale Sainte-Anne di Parigi uscito dal quale si reca in vacanza in Grecia e passa, per scelta, alcuni mesi nell’isola di Leros come volontario in un centro di accoglienza per migranti.

Queste le tappe fondamentali del libro. Ma Carrère divaga fra ricordi e pensieri, ci racconta molto di più. Ci parla di sé, del suo rapporto con lo yoga, delle donne e degli uomini incontrati lungo il cammino della vita, dei luoghi che lo hanno colpito, della sofferenza propria e altrui, di come la depressione sia un vortice di spaventosa oscurità dal quale nulla, neppure lo yoga, sembra poter salvare chi vi sprofonda, di come gli risulti difficile diventare un uomo migliore e quindi uno scrittore migliore. Ci sono capitoli di assoluta desolazione, altri di meraviglia e bellezza espressi in modo mai scontato e pieni di una saggezza e di una compassione ammirevoli. Ci sono la musica e la poesia che gli hanno restituito il sapore della vita, gli amici che l’hanno arricchita anche se in qualche caso sono morti all’improvviso. Yoga è un percorso fatto di luci e ombre lungo il quale l’autore ci invita ad accompagnarlo, per la sua e la nostra soddisfazione e forse anche per la sua e la nostra liberazione dalla sofferenza e dalla negatività.

Un libro ricco e corposo che comunica bellezza e ricchezza di sentire a noi lettori. Inspirate, espirate e voltate pagina. Non ve ne pentirete.

Francesca

 

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