Ad un certo punto ho dovuto interrompere. Posare il libro ed uscire a prendere una boccata d’aria. Stavo entrando con eccessiva intensità tra le pagine. O erano loro che entravano dentro di me. Perché è complicato mantenere le distanze da questo tipo di storia e dai suoi personaggi; e da questo modo di scrivere. Generalmente non sono facile alla commozione ma ammetto che, a questo giro, qualche bel sospirone l’ho gestito a fatica.
E, come non bastasse il libro in sé ad alimentare la girandola di emozioni, ho letto (per puro caso, lo confesso) L’ultima settimana di settembre appena dopo aver terminato Tutto sarà perfetto di Lorenzo Marone. Ed è pazzesco… perché si ha l‘impressione di entrare in storie parallele nelle quali analogie ed emozioni danzano intrecciando i loro passi e ti si conficcano dentro attraverso la voce di un “io narrante” diverso che ne modifica la percezione del punto di osservazione offrendo una diversa angolazione di una prospettiva molto simile. Un figlio che racconta il padre e un nonno che racconta il nipote. Storie di viaggi lungo strade e paesi che ripercorrono le orme del passato in direzione di destini che possono significare l’inizio o la fine.
L’ultima settimana di settembre, dicevamo. Un nonno burbero ai limiti della misantropia costretto a procrastinare il proprio appuntamento con l’aldilà per offrire al nipote poco meno che estraneo una via d’uscita dall’abbraccio di un destino cinico e maldestro. Gomitoli di strade a bordo di una vecchia e mai doma Citroën DS. Centinaia di chilometri di asfalto su cui accumulare ricordi, emozioni, sguardi e sentimenti. Partire da zero e costruire un legame, solido quanto la stessa Via Aurelia, nel breve spazio che separa Genova da Roma. Con la premessa di un addio. Con la promessa della felicità.
Lorenzo Licalzi è abilissimo ad inquadrare luoghi e personaggi ed a suscitare nel lettore un senso di empatia nei loro confronti. A strappare risate, sorrisi, stupore e lacrime. Praticamente impossibile restare impassibili. Viene invece spontaneo accomodarsi sul sedile posteriore della DS e godere del viaggio insieme ai protagonisti. Misurare il ridursi delle distanze. Godere della smisurata tenerezza costantemente mascherata dai silenzi o dalle ruvidità di facciata. Condividere il dolore e percepirne la metamorfosi in qualcosa di molto vicino alla felicità.
Io sono ancora qui, seduto sullo squalo…e credo che mi ci vorrà un po’ di tempo prima di decidere di scendere da queste pagine!
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