Peppe Millanta – Cronache da Dinterbild

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Cronache da Dinterbild’ è uno di quei libri difficili da recensire. Non uno di quelli per cui non si sa come riempire quella mezza paginetta se non riassumendo la trama, al contrario uno di quelli in cui le parole ti si affollano nella mente e i concetti si rincorrono entusiasti gareggiando a chi deve essere espresso prioritariamente.

Un’esplosione di idee, riflessioni, analisi semantiche e strutturali.

Non è definibile una fiaba per quanto la trama possa agli occhi di un bambino apparire ingenuamente la storia di Ned e Biton che costruiscono una barca di conchiglie per abbandonare la desolata Dinterbild, dopo l’esodo dei suoi abitanti, verso un nuovo mondo, altrove. In effetti della fiaba classica, ha l’intento pedagogico sottostante.

Non è definibile una raccolta di racconti per quanto di fatto sia presente una struttura a episodi, uno per conchiglia. In realtà il suo costrutto desume forma dalla geniale idea dell’immaginario comune che le conchiglie raccolgano storie in giro per il mondo cullate dalle onde del mare e sia possibile ascoltarle appoggiandovi l’orecchio. Il trait d’union delle varie vicende consiste nell’essere custodite dalle conchiglie che i protagonisti stanno raccogliendo per costruire la loro scialuppa di salvataggio. Ciascuna deve essere ascoltata per poterla collocare al posto esatto nel progetto. Ciascuna riguarda un abitante di Dinterbild.

Nel complesso si delinea una macro-metafora della vita, in cui per affrontare il nostro destino dobbiamo fare i conti con il passato e metabolizzarlo, tanto che Ned non avendo trovato la propria conchiglia e la propria storia dovrà abbandonare la nave. Inoltre, si sottolinea come colui che non ha rielaborato il proprio vissuto possa mettere in pericolo la ‘salvezza’ di chi gli sta a fianco. I protagonisti ci insegnano anche come si possa essere felici in un mondo deserto, che anche in due ha i crismi di un mondo completo, persino con una paradossale e parodica contrattazione sindacale. Pertanto, la chiave della felicità non è all’esterno.

Il loro ‘viaggio dell’eroe’ è emblema della costruzione interiore di ciascuno, di come la realtà sia ciò che noi esperiamo di quanto accade intorno a noi per cui ognuno ha la sua verità, quella che qui viene custodita in una conchiglia e che si armonizza, influenza e collabora con le realtà altrui.

Le conchiglie sono foriere del messaggio che la vita è un continuo riparare ai dolori del passato, un continuo reagire agli imprevisti, un continuo metabolizzare l’accaduto per voltare pagina.

La vita di Coty è metafora di una nostra stanza interiore da cui facciamo fatica ad eliminare ricordi ed esperienze, anche se spesso non ci pensiamo perché comporta dolore. Lui rappresenta inoltre il nostro lato fanciullesco che spesso rinneghiamo ma che è portatore di una saggezza genuina e ‘sgomentante’, quella che non ha necessità di etichettare e ‘nominare’ ogni cosa, nella consapevolezza che il nome può essere restrittivo e limitante rispetto alle meraviglie della vita che possono solo essere indicate e evidenziate mentre ci incappi, con un semplice e generico ‘QUESTO’.

Il roseto nella discarica è allegoria di come il bello possa essere ovunque, purché si sia pronti a vederlo e si guardi attentamente a sottolineare l’importanza del punto di vista e della serenità interiore.

Leggendo il romanzo in chiave non privata ma sociale, allo stesso modo il futuro di una civiltà, quella di Dinterbild, trae le sue fondamenta, il suo scafo, dalle storie del passato, qualsiasi sia l’avvenire che la aspetta, carattere generale e aspecifico reso volutamente dal termine ‘L’Altrove’. Infatti, non è importante il luogo, ma il come e il perché. A tal proposito Ned troverà il suo ‘Altrove’ nel presente, a testimonianza di quanto sia possibile non cogliere il proprio destino delineato davanti agli occhi, finché non si è pronti a variare prospettiva. Questo cambiamento può avvenire rispetto alla propria visione, ma anche rispetto a preconcetti sul punto di vista altrui, per cui si può scoprire che inutili cianfrusaglie e dettagli possono essere molto utili come insegna Coty.

Il titolo stesso Dinter-Bild in svedese significa ‘immagine diversa’ che potrebbe indicare la figura retorica della metafora, così come potrebbe indicare proprio il guardare alla propria storia in modo differente. In maniera onomatopeica la parola risulta composta da Inter e build, per cui il luogo dove si contestualizzano le vicende rappresenterebbe un luogo di transizione costruito dall’uomo con le proprie convinzioni (ad es. far vivere i pesci fuori dall’acqua), per poi destrutturarle e voltare pagina verso un futuro che si scoprirà solo vivendo, una sorta di interregno di crescita e miglioramento. Dein bild in tedesco significa ‘la tua immagine’, che potrebbe sottolineare il carattere introspettivo dell’intero romanzo.

Ogni conchiglia porta con sè preziosi messaggi di saggezza. La storia di Del ci insegna che l’amore non va taciuto se non si vuole rischiare di impazzire reprimendolo e di perdere l’oggetto del sentimento. La vicenda del giudice Morel sottolinea come la vita non possa essere forzata e organizzata a nostro piacimento, ma debba essere accolta per come si presenta. Talvolta è solo il risultato di imprevisti e reazioni agli stessi, mentre siamo impegnati a fare programmi.

La conchiglia di Mune ci racconta la paura di ciò che non può essere misurato e contenuto con la mente, come l’infinito e le emozioni con una profonda antitesi istinto/mente esplicata con la sineddoche pancia/cervello. Ciò che non riusciamo a spiegare nel mondo degli adulti diviene sbagliato, patologico e da correggere/guarire.

Gustav, messaggero come le conchiglie e come questo intero libro, porta missive a tutti, ma non sa comunicare il proprio amore. I tentativi goffi di copiare l’amore per inviare le lettere a Soraya sono fallimentari perché, emulati, non lasciano trasparire il sentimento. Vincerà il modo diretto e non orchestrato di dimostrare emozioni.

La storia di Fros ci ricorda che i ruoli sono dinamici e ogni truffatore o bugiardo può essere a sua volta truffato. Una sorta di proverbiale ‘chi la fa, la aspetti!’.

La storia di Lady Sawen è una perfetta fotografia dell’impatto della guerra e della fame sull’animo umano, con particolare rilievo del suo incarnare spesso la filosofia ‘homo homini lupus’ al fine di sopravvivere, usurpati dall’umanitá.

Il romanzo, quindi, è intriso di temi importanti e di spessore, il tutto narrato come una sorta di parodia che sfrutta la formula collaudata della slapstick comedy del duetto maschile, il saggio e scaltro e il tontolone, come per famose coppie comiche del cinema ‘Stanlio & Ollio’ o ‘Gianni e Pinotto’. Il risultato è un alternarsi di riflessione e divertimento e anche di riflessione divertente, laddove il sarcasmo e l’ironia sono un potente mezzo comunicativo.

Molto interessanti sono le scelte stilistiche e la grafica stessa con cui è scritto il romanzo. Viene utilizzato l’anagramma come inizio delle frasi a rappresentare la contorsione mentale del giudice dopo aver perso il treno. Nella vicenda di Mune manca la punteggiatura a rappresentare il flusso continuo dei pensieri. Le parole iniziano talvolta con rientri diversi a rappresentare lo scorrere in avanti del tempo o a delineare una v come capita per un corpo e la sua ombra.

Spesso si usano suoni onomatopeici, a sposarsi con scene giocose o più ridicole e con l’ironia, registro principe delle vicende di Ned e Biton. L’ Ironia alleggerisce l’intensità delle vicende dolorose narrate dalle conchiglie e permette di trasmettere profonde verità in maniera impercettibile, ma efficace.

Per riportare dei referti medici e dei documenti, come la denuncia sporta da Biton, viene cambiato carattere.
Per riportare la storia di un poeta si adopera la scrittura in versi.

Nel raccontare l’oblio nella mente della signora Byton si racconta la medesima cosa più volte, cancellando progressivamente le parole fino a lasciare per ultimo il ‘ti amo’, sentimento che ha resistito superstite finché ha potuto alle dimenticanze della razionalità e della mente. La presenza lascia progressivo spazio grafico all’assenza, come nei quadri di Del dove l’assenza è cancellazione di ciò che è stato e non una pagina bianca dove non c’è mai stato nulla.

Se si descrive un piano o un programma, l’autore ricorre al puntato.

I cartelli di Coty vengono disegnati.

Le parole di Biton appeso per i piedi ad un albero vengono scritte sotto-sopra a darci la sensazione di capovolgimento esperita da lui.
Questi accorgimenti tecnici catapultano il lettore anche graficamente nella vicenda e ricordano molto da vicino il Modernismo e lo ‘stream of consciousness’ di James Joyce, per altro anche lui stesso interessato al dolore e all’interiorità universale.

Finale a sorpresa: che questa Matrioska di vicende non finisca qui?

Patrizia

 

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