Irene è una trentacinquenne illustratrice per bambini, di grande talento, e vive in un appartamento da sogno a Milano. Con la sua bimba Arianna, nove anni e mezzo, fugge da un marito da cui subisce da tempo violenze fisiche e psicologiche, e si rifugia nella casa sul lago dove aveva vissuto con i suoi genitori da piccola. Un luogo dove il marito riesce a trovarla, ma dove può anche contare sulla solidarietà, l’aiuto, la protezione di vecchie e nuove conoscenze che però non sempre riescono a tutelarla, ma spesso a loro volta diventano vittime di una furia inaudita.
“Nella buona e nella cattiva sorte” (Mondadori) è un giallo che si dipana tra indizi e colpi di scena, ma è anche qualcosa di più: è un’introspezione psicologica nei personaggi e un modo per affrontare, da parte di Marina Di Guardo, argomenti di valenza sociale molto forti, come appunto la violenza fisica e psicologica su donne e bambini, ma anche il bullismo.
«Sin da bambina – ha sottolineato la scrittrice durante una recente presentazione del libro a Luino – ho sentito l’esigenza di raccontare e di raccontarmi, anche se, scrivendo thriller, non si tratta di un raccontare autobiografico, ma raccontare storie, paure, emozioni, paesaggi».
E in questo romanzo al cardiopalma il paesaggio è un grande protagonista che in qualche modo si ricollega ai ricordi di Marina Di Guardo: seppur mai esplicitato, sono il lago Maggiore e il Luinese a essere l’ambiente di svolgimento della storia, in una sorta di contraltare, di contrasto tra la bellezza quasi idilliaca del luogo e le angosce che attraversano la protagonista del noir.
Proprio a proposito di Luino, Marina Di Guardo non ha nascosto l’emozione nell’esserci tornata con questo libro: qui ha vissuto dai 7 ai 10 anni, figlia di un medico che per lavoro si spostava spesso. «Mi ricordavo perfino la ringhiera del lungolago e sono andata subito a cercare la casa dove ho vissuto – ha raccontato durante la presentazione del libro -, mi sono fatta spiegare i cambiamenti. Ricordo la mia meravigliosa maestra Angela Santostefano, che oggi non c’è più, donna di incredibile umanità e dolcezza, che ci portava a fare lezione all’aperto, nei boschi, nel verde, e che per anni, dopo che avevo lasciato Luino per trasferirmi a Milano, mi ha scritto lettere per sapere come stavo. Di Luino ho ricordi indelebili di un posto idilliaco, ho sensazioni che mi sono rimaste dentro. Anche per raccontare i paesaggi che ho descritto nel libro c’è stato qualcosa che si è agitato dentro di me».
Le immagini dei paesaggi sono in effetti loro stesse personaggi vivi del romanzo, nel quale Marina Di Guardo si cala nella psicologia della persona che subisce un atto di violenza ripetuto. Perché anche un romanzo può aiutare a riconoscere e a prevenire situazioni drammatiche.
Sara
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