“I bastardi vanno all’inferno” è un noir veramente “nerissimo”, come gli “otto giorni lenti e scuri come la più buia delle notti”, che i protagonisti trascorrono in cella di isolamento e come tutti i giorni e le notti che si susseguono inclementi nell’anonimo carcere, nel sud della Francia, in cui sono rinchiusi.
Hal e Frank, una spia e un poliziotto sotto copertura che ha il compito di estorcergli informazioni. Ma chi è chi? Non lo sappiamo, ma, personalmente, ho smesso di chiedermelo dopo poche pagine, trasportata nell’atmosfera tetra della prigione, in un mondo intriso di crudeltà disumanizzante, in cui il vero fulcro della storia diventa la relazione tra i due prigionieri, che si sviluppa indipendentemente dal loro ruolo iniziale.
Il racconto è breve, intenso e crudele nel suo mettere a nudo la fragilità umana e il lato oscuro di ognuno e la ferocia di un rapporto che la cattività rende sempre più stretto e in cui il bisogno dell’altro e l’istinto di sopravvivenza sconfinano continuamente l’uno nell’altro.
Dard sonda sapientemente l’animo umano, non solo attraverso i personaggi principali, ma affiancando loro comprimari inusualmente “concreti”: primo tra tutti “il Fetente”, compendio di sadismo e perfidia in aperto contrasto con la delicatezza dei fiori che mastica per vezzo e che quasi buca la pagina, per arrivare davanti agli occhi del lettore con la stessa potenza di un ritratto dipinto su tela. E che dire del Muto, che trasmette angoscia con la sua sola presenza continua, discreta e silenziosa, con lo stesso effetto di una disperazione gridata al vento a pieni polmoni?
Tante le suggestioni, dalla sensazione claustrofobica quasi kafkiana della prigionia, all’inevitabile ricordo del Robinson Crusoe di Defoe e la Tempesta di Shakespeare, che fanno di questo romanzo una perla nella produzione di un autore prolifico e irrinunciabile.
Mimma
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