“La stessa esperienza ha tante versioni quante le persone che l’hanno vissuta.
Ognuno individua dolore e gioia dove non li individuano gli altri.”
Ecco le prime parole che mi hanno colpita nel leggere questo libro insolito, doloroso e profondo di Teresa Ciabatti. Vera autobiografia? O versione romanzata di una realtà che appartiene, in fondo, a tutti noi: l’aver vissuto con confusione, angoscia, insicurezza e rabbia le nostre adolescenze. E quanti di noi ne sono usciti illesi? Nessuno, probabilmente.
“A proposito di memoria, di ciò che trattiene e di ciò che lascia andare. A proposito della sua arbitrarietà: non è vero che per istinto di sopravvivenza dimentichiamo quel che ci ha fatto male in quanto, se riportato alla mente, continuerebbe a rinnovare il dolore…”
E le cose non sono certo andate meglio per la protagonista e voce narrante di questo romanzo la quale, come una moderna Penelope, intreccia e disfa la tela dei ricordi – veri, falsi, indotti? – avanti e indietro nel tempo. Lei, ragazzina arrivata a Roma dalla Maremma reduce dalla separazione dei genitori, proiettata nel mondo dorato del liceo Mameli dei Parioli, confusa in quella ‘mandria’ di giovanissimi, biondi e ricchi rampolli dell’alta borghesia dell’Urbe; lei goffa e asimmetrica, grassa e sgraziata – ma era davvero così? – appiccicata all’amica Federica, in adorazione della sorella maggiore di costei, Livia, la bellissima e corteggiatissima ragazza di tutti.
Ora, donna fatta, addirittura alle soglie della menopausa, diventata una scrittrice famosa – ma in realtà quanto famosa? Da e per quanto tempo? – sposata e separata, madre di una figlia ventenne con la quale non riesce a relazionarsi, una figlia che la rifiuta e che lei rincorre con disperazione, si scopre a inseguire il ricordo di se stessa adolescente, a tentare di ricostruire, pagina dopo pagina, un passato cristallizzato nel tempo, quella parte di lei che non ha mai abbandonato i sedici anni e gli avvenimenti di quel periodo della sua vita; quella ragazza che avrebbe voluto scomparire in una fantomatica botola all’interno di un camerino di un negozio di abbigliamento (come alla fine degli anni ‘80 qualcuno fantasticava fosse accaduto a Emanuela Orlandi), che avrebbe voluto vivere, almeno una volta e non importa come, un momento di celebrità e riconoscimento:
“Immaginare non è forse ricordare? Di più: le immagini che risalgono dall’inconscio – sogno o veglia che sia – non sono forse accadimenti censurati?”
Con inusitata maestria, Teresa Ciabatti costruisce, con una scrittura perfetta e sincopata, un racconto complesso e articolato fatto di rispecchiamenti, espiazione, trasferimento di affetti, follia e intriso di una sofferenza legata a quel desiderio, comune a ogni essere umano, di non invecchiare mai, alla percezione di noi stessi eternamente giovani anche nel momento in cui uno specchio ci mostra gli anni che ci portiamo addosso. La narrazione della vita della protagonista si dipana dinnanzi agli occhi del lettore come in una libera associazione freudiana, coprendo e svelando una pretesa di essere ciò che in realtà lei non è, sorprendendoci a ogni pagina.
Francesca
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