Luoghi di libri

Maria Teresa Carpegna – La strana vita dell’editor di montagna

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L’editor di montagna ha spesso un carattere schivo e non ama le mondanità, al contrario dell’editor di riviera o di città, spesso presente ai premi letterari, accompagnato da giovani autori in camicia a righe e pantaloni a sigaretta. L’editor di montagna si nutre di libri, che degusta con lentezza nel suo nido silenzioso e inospitale”.

Beatrice Cravero è questo strano esempio di editor, una sessantaduenne che ha deciso di abbandonare la città (Torino) per rifugiarsi in una borgata di montagna. Amante della solitudine, non si è mai pentita della sua scelta, anche perché i moderni mezzi informatici le consentono di mantenere i contatti utili e fondamentali per la sua attività. A interrompere quell’isolamento volontario, un giorno d’inverno arriva Romualdo, un ex bibliotecario dalla “voce piuttosto profonda, che accompagnava l’ascolto come un piacevole basso continuo, e parlava lentamente senza sbalzi di tono, muovendo talvolta le mani con gesti pacati”. Romualdo Bruni è piombato nel nido di Beatrice con l’intenzione di scrivere un libro sulla strana vita dell’editor di montagna.

Che poi, a dire il vero, tutto quell’isolamento nella borgata non c’è, e Beatrice si ritrova immischiata in una particolare indagine, alla ricerca di una verità che stenta a venire a galla.

La scrittura di Maria Teresa Carpegna è vivace e fluida, la narrazione mi ha catturata, i personaggi sono ben delineati, alcuni sono simpatici, altri no, com’è giusto che sia. Non può definirsi un giallo, questo romanzo, ma la struttura, la trama, la costruzione della sequenza degli eventi ci si avvicina abbastanza.

Questo romanzo parla di amici, di libri e di montagna”, spiega l’autrice e sono proprio gli ingredienti che ci ho trovato. Inoltre, ogni capitolo inizia con brani o poesie, citazioni tratte da… dalla fantasia di Maria Teresa che, con grande abilità, si è divertita a “immaginarli e scriverli”, cambiando completamente registro narrativo rispetto al romanzo. Anzi, più registri narrativi, e non è cosa da poco.

Che dire di più? Solo che, se vi piace lasciarvi catturare da storie che contengano un po’ di sentimento, un pizzico di mistero e una punta di leggerezza e vivacità, allora potete andare a conoscere Beatrice, Romualdo e tutti gli altri, amici e non, che animano la borgata di Riostorto. Io, nel frattempo, spero che ci sia una seconda puntata.

Luisella

 

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Giulio Mozzi – Le ripetizioni

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«Camminiamo sulla sabbia, l’onda passa e cancella. Le vite finiscono. I giornali vanno al macero. I libri agonizzano nelle biblioteche. Gli edifici crollano o vengono distrutti, diventano fondamenta per altri edifici. Le memorie digitali sono appena nate, nessuno sa quanto dureranno: forse millenni, forse tra pochi anni saranno tutte cancellate, vuote. Il tempo è una somma di infinite ripetizioni con minime variazioni, infinite minime variazioni conducono alla cancellazione di tutto. Presto o tardi. Per il tempo, presto o tardi non fa differenza. Per il tempo, ora è come qualsiasi allora.»

Il romanzo di Giulio Mozzi, candidato al premio Strega 2021, arriva da lontano. Come spiega l’autore, «I primi scartafacci relativi a ciò che oggi si chiama Le ripetizioni risalgono al 1998. Per ventitré anni ci ho lavorato interrottamente, con lunghi periodi anche di oblio; ho ripreso, con non poche esitazioni, nell’autunno del 2018; la scrittura vera e propria, in cui tutto è stato rifatto e rifuso – e molto è stato gettato, e molto di nuovo è stato scritto –, è avvenuta nei mesi di giugno e luglio del 2020. […] Scrivo questo il 27 marzo del 2020, mentre il mondo è in preda alla pandemia, e non so, non sappiamo, se tra qualche mese riconosceremo ancora un valore alla letteratura; né se esisterà ancora un’industria editoriale in Occidente.»

È pressoché impossibile delineare la trama di questo romanzo, tanti sono i frammenti di ricordi in cui Mario, il protagonista, si muove. Molti sono i luoghi dove vivono quelle parti di memoria. Quasi un libro labirinto dove quei luoghi, le persone che li vivono, le parole e le frasi che riempiono le pagine si rincorrono, si allontanano e si ritrovano. Frammenti narrati e ripetuti: ecco, appunto, anche nella narrazione ho trovato “le ripetizioni” del titolo.

Un romanzo non facile ma «questo romanzo è la mia opera, è senza tanti giri di parole l’opera della mia vita – una riepilogazione, un testamento, un addio, vedete voi, forse una profezia –, e se non voglio sfigurare me stesso devo portarlo a termine.»

Luisella

 

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Enrico Galiano – L’arte di sbagliare alla grande

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Il segreto non è prendersi cura delle farfalle, ma prendersi cura del giardino, affinché le farfalle vengano da te.

Alla fine troverai non chi stavi cercando, ma chi stava cercando te.

M. Quintana

Questa che state per leggere è una recensione al contrario di un libro al contrario, ma vediamo perché.

La recensione inizia dalla fine e cioè dai motivi per cui leggerlo e soprattutto la tipologia di lettori a cui è indirizzato: questo è davvero un libro per tutti, qualsiasi tipo di essere umano. Si può dire che non ci sia lettura più inclusiva di questa perché di errori si parla e da questo siamo tutti accomunati. Perché leggerlo? Perché questo è un libro che parla. Okay, va bene, tutti i libri ci parlano più o meno di noi, dei nostri sogni, delle aspettative deluse e di quelle realizzate ma questo libro parla dei nostri errori e del perché anche l’essere umano modello, il cittadino più zelante, perfino uno dei professori più acclamati dall’editoria, li abbia commessi e li commetta. E qui arriviamo al nocciolo della questione: un libro al contrario perché in queste pagine il Prof. Galiano fa quello che poche volte gli adulti e soprattutto gli insegnanti fanno: si rivela. Si rivela ai lettori, ai suoi studenti, ai colleghi, ai genitori e soprattutto a se stesso (o a sé stesso come preferisce lui). Lo fa con semplicità, partendo dal sé bambino di otto anni e analizzando le tipologie di sbagli commessi nella vita, andando a scavare nel “sottosuolo” dei ricordi da non condividere. I professori, specialmente, non lo fanno- potremmo dire che gli adulti in genere sono restii a farlo- perché noi siamo quelli che hanno le risposte, quelli che correggono gli altri, quelli che insegnano come si fa e come non si fa. In realtà non è affatto così e Galiano ci mostra come, quando abbiamo l’umiltà e soprattutto la forza di accollarci questa fatica del vivere, condividere gli errori, gettare la maschera può essere una liberazione ma anche una rivelazione per vivere meglio sia con noi sia con gli altri, per raggiungere obiettivi che ci precludevamo da soli.

Non voglio anticipare troppo, perché secondo me è davvero un libro che merita una lettura ma vi dirò che mi ha colpito molto la parte sull’ansia. Troppo spesso ormai, nella nostra società e di riflesso nelle nostre scuole, l’ansia ha conquistato il valore di status sociale insieme allo stress: adulti e meno adulti vivono perennemente in stati d’ansia e stressati dal lavoro, dalle relazioni. L’ansia viene diagnosticata dagli specialisti dei disturbi dell’apprendimento come un vero e proprio limite (sapete quante volte la diagnosi di uno specialista riposta la parola “ansietà”) come se fosse una situazione extra-ordinaria. Galiano, prendendo in prestito le parole di Kierkegaard: l’ansia è il sentimento degli uomini liberi e nasce dal non sapere quale sarà l’esisto di un evento e in che modo le nostre scelte lo condizioneranno. E qui mi riaggancio a quello che dico a chi mi pone di fronte alle proprie ansie: l’ansia è nostra amica se sappiamo gestirla perché può essere sia campanello d’allarme sia un impulso a fare del nostro meglio. Dobbiamo essere noi a gestirla e non farci gestire da lei. L’ansia è vertigine, quel senso di vuoto che ti prende di fronte all’infinito (o alle infinite possibilità) ma non è repulsione, semmai attrazione, come canta Lorenzo Jovanotti “la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare, mi fido di te…”. Per cui fidatevi di me, leggete questo libro perché la perfezione non esiste e per imparare qualcosa in questo viaggio chiamato vita, non si può far altro che sbagliare. Sbagliare per imparare a reagire, a rialzarsi dopo una caduta, ad essere individui nonostante e non individui se, a vivere secondo l’hakuna matata ma non accontentarsi della propria confort zone. L’arte di sbagliare alla grande è il solo modo che l’essere umano ha per imparare a vivere.

Parola di Prof. Galiano.

Annamaria

 

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Giuseppe Catozzella – Italiana

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Ho già avuto modo di dire che le biografie non sono il mio genere preferito, ma anche questa volta mi sono imbattuta in un modo particolare di raccontare la storia di una vita. L’unità d’Italia, le condizioni della popolazione prima, durante e dopo l’arrivo di Garibaldi nel meridione, il brigantaggio con le sue origini e le sue ragioni, sono una pagina della storia del nostro paese tra le più controverse e, per questo, spesso ignorate. Giuseppe Catozzella ci porta proprio in quella che ancora non era l’Italia unita, nelle campagne, dove la gente vedeva nelle camicie rosse la possibilità di riscatto e uguaglianza, la fine della sudditanza ai ricchi padroni da cui veniva sfruttata. Ci racconta la storia di una bambina, che in quel clima cresce e diventa donna, in mezzo alla crudeltà della miseria, che non toglie solo il pane, ma porta via gli affetti e la dignità. Ci mostra fino a che punto l’indigenza o il terrore di ricaderci possono portare a cancellare anche i legami di sangue e rendere perfidi e vendicativi, disposti a sacrificare la propria famiglia pur di non privarsi degli agi. Ci descrive una elite di possidenti e nobili, che cambia faccia con il mutare dell’assetto politico e rimane sempre uguale a se stessa, riportandoci alla memoria le parole del principe Tancredi di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Una lezione per l’epoca tristemente italiana, come “Italiana” è Maria Oliverio, che, invece, crede nel cambiamento radicale e lotta perché diventi reale, perché per lei e per quelli come lei, è l’unica possibilità di sopravvivenza.

Il racconto mescola verità storiche documentate alle tante leggende fiorite intorno alla figura di Ciccilla, nome assunto da Maria a capo di un banda di briganti, prendendola per mano da quando, bambina china sui libri, cerca l’emancipazione nella conoscenza, fino a quando, scontratasi per l’ennesima volta con la feroce invidia di chi le sbarra la strada, diventa una donna con una nuova miseria ad attenderla: quella della delusione e della violenza. E’ allora che Maria diventa Ciccilla, sui sentieri impervi della Sila, accompagnata dalla lupa che la segue ovunque, alla conquista di ciò che è “giusto”: “se ho usato un coltello per tagliarmi i capelli e mi sono vestita da uomo non è stato per essere come uno di loro. Se l’ho fatto è stato perché, senza, non mi sarei mai liberata. Senza, sarei rimasta Maria”.

L’autore delinea un periodo storico che non è solo lo sfondo, ma è il vero motore delle azioni dei personaggi, di cui emerge, nel bene e nel male, la profonda complessità della natura dell’animo umano: dalla perfida Teresa, al disperato Pietro che non pare non trovare pace se non nella guerra e nell’ira, a Maria stessa, dipinta dalla gente come “una specie di mostro, mezzo animale e mezzo donna, un essere che portava morte e distruzione, il terrore dei bersaglieri”.

Maria vive e muore sotto gli occhi del lettore, affidando il suo messaggio di speranza e forza, al vento in cui si disperde un grido: ”Italiana”, tanto più potente perché affidato a chi, pur distante e costretto a braccarla, ha conosciuto la sua indole libera e dà a quella parola il suo significato più vero e profondo.

Mimma

 

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Pasqualino Esposito, Cinzia Ravallese – Pasqualino Il sorriso di una stella

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Ci sono storie e storie, poi ci sono racconti e racconti. Questa volta mi capita una sfida: il Vice Sindaco e Assessore alla cultura di Rosta, Anna Versino, mi propone una presentazione, un libro che non conosco, ma che pensa possa piacermi, ma soprattutto possa farmi pensare. Chi mi conosce sa che non mi tiro indietro e così parto per un viaggio diverso e più toccante del solito: la vita di Pasqualino.

La storia di Pasqualino (Esposito) è raccontata da lui, ma scritta da Cinzia Ravallese. Un lavoro sensibile, delicato, stilato come una lama chirurgica, deciso, senza farsi prendere da sentimentalismi, ma che racconta la malattia di Pasqualino. Avevo paura a prendere in mano questa storia, avevo il timore di cadere in sentimenti contrastanti che potessero portare anche alla compassione, ma in questo racconto non succede.

Mentre leggevo le vicissitudini di Pasqualino, ho provato a mapparlo: sì gli attribuivo delle parole, degli aggettivi per capire chi fosse veramente e cosa mi stesse dicendo il suo racconto.

Non mi sono mai persa, come mai si è fatto sconfiggere lui. Ironico e dai profondi insegnamenti Cinzia riesce a dipingere un quadro della disabilità che può solo far maturare e crescere. Spesso ci giriamo dall’altra parte davanti alla disabilità, soprattutto se non ci tocca; qui non è possibile voltarsi perché si viene coinvolti a tal punto che non è possibile non vedere o non sentire, possiamo solo capire e far nostri tanti episodi, tanti avvenimenti.

Grazie per questa avventura, grazie a Cinzia di essere stata tanto brava, e grazie a Pasqualino di aver trovato la forza e la voglia di coinvolgerci: ci sono più soluzioni ad un unico problema, basta allargare gli orizzonti.

Simona

 

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