Viola Ardone – Il treno dei bambini

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Come tutte le storie ambientate a Napoli, anche questa si è guadagnata un posto speciale nel mio cuore e, del resto, come si potrebbe non essere conquistati dalla tenerezza dei bambini che Viola Ardone mette sul “treno per il Nord”? Come non commuoversi quando lasciano le loro case con la testa colma della paura per “i comunisti” che li portano via e il cuore diviso tra la nostalgia per le famiglie che li salutano dalla banchina e la speranza di trovare un tetto, pasti caldi e vestiti nuovi?

Il viaggio e la nuova vita a Modena sono raccontate dal protagonista, Amerigo, con la concretezza di cui è capace solo un bambino disilluso, che non ha mai avuto tempo da perdere inseguendo sentimenti e sogni, troppo preso dalla necessità di sopravvivere e dalla ricerca di espedienti per farlo.

Dopo la partenza da Napoli, Amerigo e i suoi compagni di viaggio sperimentano sensazioni completamente nuove: lo stupore nel capire che la “solidarietà” e la ”carità” sono due cose diverse e di cui non avere vergogna, la possibilità di avere tempo per il gioco fine a se stesso, senza essere “la malerba che cresce” perché non porta pane a casa, la felicità di trovare un calore diverso da quello di un cappotto nuovo o di un paio di scarpe non bucate, ma fatto di attenzioni e carezze, la scoperta di una scuola che non è punizione , ma anche luogo di gioco e nascita di amicizie. Diventano, insomma, bambini che hanno la possibilità di essere davvero tali, senza essere costretti a vivere da adulti prima del tempo.

E come meravigliarsi del fatto che alcuni di loro scelgano di correre incontro a questa opportunità? Ma non per tutti la scelta è priva di conseguenze. Il protagonista, a differenza degli altri, conosce un amore fatto di equivoci e incomprensioni, che rende il riscatto un fardello colmo di senso di colpa e vergogna; un amore figlio della povertà e della necessità: l’affetto di una madre parca di carezze e parole perché consolare, così come abbracciare, “non era arte sua”. L’adulto che Amerigo diventa deve venire a patti con ciò che ha abbandonato, fuggendo, e tornare in quella che è stata la sua casa, ma che da tempo immemore non sente più come tale. Non importa se non ha più la possibilità di chiarire i malintesi, se ormai è troppo tardi per suggellare con un abbraccio la comprensione finalmente ritrovata. Amerigo, dopo tanti anni, ha l’opportunità di assolvere se stesso e riportare il suo cuore nel basso in cui, nelle fredde notti della sua infanzia, si stringeva nell’abbraccio ruvido della donna che lo aveva messo al mondo. Soprattutto, ha l’occasione di donare a qualcuno, proprio lui che, fino ad allora, ha avuto tanto e non ha dato quasi nulla in cambio.

Una lettura emotivamente molto intensa, mai noiosa o sconfinante in un buonismo fuori luogo, in cui una prosa scorrevole, il cui registro cambia con il mutare e crescere del narratore, trasporta appieno il lettore nella dimensione dei personaggi.

Mimma

 

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