“Al tempo avevo solo 15 anni, ero un ragazzino come tanti, che amava giocare a pallone nei prati, con gli amici, curioso di scoprire il mondo, di raggiungere le vette delle montagne, che ogni giorno al mio risveglio osservavo, verdi nei mesi caldi e imbiancate in quelli invernali. Non sapevo ancora che quelle montagne avrebbero svolto un ruolo determinante nella mia vita.”
Era il 26 giugno 1944 e quel ragazzo, Ottavio Allasio, inizia a vivere la peggiore avventura della sua vita. Catturato dai fascisti, rimane segregato in caserma con altri prigionieri, senza sapere nulla né della sua famiglia né della sua sorte.
“Non so dire quanto tempo passò, iniziammo a sentire delle voci provenire dall’esterno della Caserma e comprendemmo che erano i nostri familiari, venuti per cercare di capire che cosa stesse succedendo. Non ebbi però la possibilità di comunicare con mia madre. In quell’occasione fu concesso loro di recarsi in caserma tre volte al giorno per portarci il pasto. Quello fu solo il primo giorno. In quelli successivi aspettai con ansia l’arrivo di mia madre, non avevo mai sperato così tanto di vederla arrivare.”
Il 29 giugno, giorno del sedicesimo compleanno di Ottavio, inizia il viaggio della deportazione, prima in camion, poi in treno.
“Quando fu il mio turno per salire la vidi arrivare in lontananza, rimasi appoggiato alla sponda del camion, lei provò ad avvicinarsi quando una Camicia Nera la prese per un braccio e la trattenne, la strattonò sino a farla cadere per terra. L’ultima immagine che ebbi, mentre il camion si allontanava, era mia madre, una piccola donnina, buttata a terra da un uomo rude, anche il latte che mi stava portando nel ‘barachin’, iniziò a uscir fuori e spargersi sul terreno.”
Il 4 luglio Ottavio arriva nel campo di concentramento di Gaggenau Baden (uno dei campi di cui si parla meno), farà parte di quella schiera di “lavoratori italiani coatti nelle fabbriche del Terzo Reich, i cosiddetti ‘schiavi di Hitler’”, come scrive Marco Ponti nella prefazione al romanzo. Quello che segue è storia comune a tanti altri deportati, nota ma talvolta dimenticata o di cui si sottovaluta la drammaticità, accozzaglia di atti compiuti con efferatezza per annullare l’identità umana.
Nel romanzo di Giorgia Bellone, nipote dell’ormai ultra novantenne Ottavio, si alternano due voci narranti: quella più intensa e dettagliata del protagonista e quella, non meno intensa ma più breve, di Giorgia.
“Fatico a pensare come poteva essere oggi, se questo viaggio che si apprestava ad affrontare non si fosse mai verificato. Credo che probabilmente sarebbe stato tutto diverso, ma penso che mio nonno lo amo proprio così com’è, non potrei immaginarlo diversamente.”
Una narrazione toccante, dove non esiste vittimismo a intaccare l’emozione o, meglio, l’amalgama di emozioni suscitate nel lettore, dove tristezza, rabbia, angoscia si alternano e si mescolano per lasciare, infine, il posto a sollievo e commozione.
Spero di conoscere di persona Ottavio e, per ora, per chiunque volesse avvicinarsi a lui e alla sua storia, ci sono il romanzo di Giorgia Bellone e qualche video di incontri che questo grande “ragazzo” ha fatto nelle scuole.
Luisella
Ti interessa acquistare questo titolo? Vai allo store!
Amazon |
Feltrinelli |
Mondadori Store |
Verifica la disponibilità in biblioteca