Le impressioni che ho avuto leggendo “Il suggeritore” (scheda | recensione) sono state replicate anche in questo secondo romanzo della serie, con piccole differenze che ne hanno fatto perdere alcuni punti. È innegabile che Donato Carrisi sappia scrivere forte e soprattutto bene, il suo stile insieme alla fluidità dei testi sono sicuramente scorrevoli, accurati e molto piacevoli. Inserisce continuamente immagini metaforiche che storicamente dividono da sempre il lettore che apprezza da quello che preferisce non commentare. Io faccio da moderatore e mi piazzo nel mezzo perché se da una parte lo vedo un mezzo furbesco per abbindolare il lettore dall’altra la sua capacità di farlo con così grande naturalezza è da ammirare. Veniamo alla struttura, punto debole del libro. Penso che l’autore si sia dato la zappa sui piedi scrivendo allo stesso tempo un prequel e un sequel di “Il suggeritore” utilizzandone quasi la stessa scaletta. Se ti ripeti perdi credibilità e nonostante il libro sia molto valido ho fatto fatica a non annoiarmi in diversi passaggi. Se i personaggi fossero stati altri forse avrei apprezzato di più ma se scrivi un romanzo con l’intento di inserirlo in una serie allora devi creare una continuity narrativa e non piazzare solo qua e là alcuni riferimenti al precedente libro.
Facendo un passo indietro e tornando alla trama di certo essa è interessante ma sempre se distaccata dal contesto della serie romanzesca, perché anche qui è troppo simile al predecessore. Gli eventi avvengono a distanza di sette anni da quelli narrati ne “Il suggeritore”, Mila cova un malessere che le ricorda il passato come un ammonimento su quello che le potrebbe succedere. La poliziotta dentro di se continua ad avere una sorta d’inquietudine che non l’abbandona. Questa volta avrà a che fare con qualcosa di strano e oscuro, per anni ha sempre dato la caccia a chi è scomparso, i volti che è abituata a vedere ogni giorno sulle pareti del Limbo e che ora hanno il ruolo di carnefici: avrà davanti un intero esercito di ombre pronte a tutto. I potenziali per una storia esplosiva ci sono ma avendo già letto qualcosa di questo tipo si fatica ad esserne completamente catturato. In ogni caso, ogni volta che inizio un libro di Donato Carrisi la mia attenzione è subito catalizzata e i suoi incipit sono fantastici. Il ritmo è molto buono e forsennato, al solito ho letto questo romanzo in pochi giorni perché è impossibile fare altrimenti. Altro aspetto con alti e bassi è stata l’ambientazione, e non sto a dirvi nuovamente il perché. Essa va a braccetto con le atmosfere e la suspense, campi in cui l’autore si dimostra ancora una volta un maestro scrivendo un libro al cardiopalma dall’inizio alla fine e tu lettore faticherai a tirare il fiato. Con Carrisi niente è come sembra, la sua è una visione introspettiva che ci fa conoscere i personaggi scavando nel loro intimo, fino a scoprire il loro lato più nascosto. E’ su questo presupposto che fonda la natura dei suoi protagonisti e infatti non esistono eroi ma persone vere che per quanto positive sono umane e possiedono tutte i propri scheletri nell’armadio. Mila ne è l’emblema: diffidente, senza un briciolo di empatia, non ama essere toccata, è attratta dal pericolo e dal buio che la circonda, e in continua lotta con se stessa per riuscire ad accettarsi e amarsi per quello che è. “L’ipotesi del male” fa riflettere sulla dualità tra bene e male: possono esistere l’una senza l’altra o sono intrinsecamente collegate? Se al mondo esistesse un solo uomo, esso sarebbe buono o cattivo? Tra mistero e malvagità, si legge una storia ambientata nuovamente in un luogo non definito, come a dimostrare che il male si annida ovunque. Una lettura complessa e articolata.
Un thriller possente che coinvolge con una girandola di domande che non cesseranno di esistere neanche dopo averne terminato la lettura. Non smetterò mai di dire che Donato Carrisi ha il grande merito di aver dato uno slancio importante alla letteratura thriller italiana. Nonostante alcune criticità la mia impressione sul libro è ottima, ne consiglio la lettura a tutti coloro che hanno già apprezzato “Il suggeritore”.
Enrico
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