Roberta Castelli – La traccia del pescatore

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“La mentalità in Sicilia era di
per sé molto chiusa, le vedute erano ristrette, forse
per quel pezzo di mare che faceva sentire i siciliani
staccati dal resto del mondo; e questo purtroppo
contribuiva a dare man forte, involontariamente, alle
teste calde e vuote del paese. Ma per quella sera, il
commissario decise di non pensare a niente e preferì
godersi il cibo, il mare con i faraglioni in lontananza
e il castello, che vegliava sempre su tutti loro come
se fosse una mamma protettiva.”

Dalla penna di Roberta Castelli, siciliana di nascita e di cuore, da anni residente nell’asburgica capitale austriaca, nasce Angelo Vanedda. Commissario di Lachea, cittadina immaginaria del catanese, provincia in cui anche la scrittrice affonda le proprie radici, Vanedda decide di restare nella sua amata Terra, nonostante la mentalità chiusa degli isolani e la faticosa relazione a distanza con Gerlando, complichino un tanticchio la situazione. Alcuni personaggi, di “montalbaniana” ispirazione colorano le vicende del commissario: il fido Vaccaro, il poco affidabile Strano e il paterno “professore” ci ricordano altri personaggi e ci strappano un sorriso mentre affiancano Vanedda durante le indagini. Il siciliano italianizzato e la commistione con alcune parole in dialetto descrivono anche il ritmo di questa Terra che passa dai toni ospitali e conviviali dei momenti di festa a quelli più arrabbiati di chi è stanco di assistere impassibile alle ingiustizie della vita. E proprio dall’essere spettatori impassibili di una di queste ingiustizie scaturisce l’input che dà avvio alla trama di questa prima indagine del commissario. Vanedda, nomen omen, che in dialetto significa “viuzza”, percorre incessantemente tutte le piste, anche le più piccole e nascoste per arrivare alla soluzione di un caso di omicidio, apparentemente molto semplice ma con dei risvolti inaspettati. Nell’estrema chiarezza di come sembrano essersi svolti i fatti, c’è un indizio, “la traccia di un pescatore”, che ha visto un’auto gialla canarino, che non combacia nel puzzle apparso davanti agli occhi del commissario.

Roberta Castelli, con sapiente maestria, costella la trama di interrogativi su problematiche di ordine etico e morale. Il finale infatti vede Vanedda interrogarsi sulla giustizia privata, consapevole tuttavia che solo la Giustizia con la “G” maiuscola possa essere rispettata per non far scadere gli uomini nel caos e nelle faide che sono uno dei mali che da sempre attanaglia la nostra “isola bedda”.

Tra una granita, un panzerotto e un arancino (Vanedda è un amante della buona cucina) attendiamo il commissario e i suoi collaboratori per la prossima indagine!

 

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