Ci sono libri che escono in commercio destinati a un pubblico di ragazzi, ma che sono utilissimi per le riflessioni degli adulti.
Play parla di un ragazzo succube della Playstation, i giorni e le notti divisi tra poche ore di scuola e cicli di livelli alla console del gioco. Tutto quello che porta a diventare l’essere dominati da qualcosa è scritto con abilità in questo libro: problemi di salute, difficoltà a riconoscersi nel “branco” compagni di scuola, estraniarsi da tutto quello che ci circonda, aggressività e isolamento.
Per certi versi un mondo più facile, per altri no. Si arriva a pensare e a sognare di essere il protagonista del gioco, con incubi notturni di rilievo. Ma fortunatamente la vita ci circonda di persone che possono salvarci, anche senza saperlo o senza volerlo. Capitano per caso sul nostro cammino e basta uno sguardo per accendere una luce, una piccola fiammella per alimentare un grande fuoco.
Così tornano le emozioni, i sentimenti, le sensazioni, la capacità di vedere colori e rapportarsi con il prossimo. Amore della famiglia, in questo caso di una mamma, la vicinanza di un professore che ci stima e ci stimola, l’accorgersi di un’amica al nostro fianco, basta veramente poco per salvarci e in questo caso per salvare Vasco da se stesso e dalla non percezione di cosa lo contorna.
Questa storia insegna: ci prende per mano e ci porta nel baratro del gioco per riaccendere la luce toccando temi come l’amicizia, l’amore, il perdono, la vicinanza, l’arroganza, ma soprattutto la cognizione che siamo qualcuno e che siamo importanti per noi stessi.
La vita va vissuta non attraverso un gioco.
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