Jonathan Bazzi – Febbre

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Un romanzo autobiografico crudo, senza fronzoli né perbenismi o giri di parole, in cui l’autore si mette a nudo con coraggio, anche se egli stesso non ritiene di doversi definire coraggioso.

Siamo nel 2016 quando Jonathan scopre di essere sieropositivo, prostrato da giorni e giorni di una febbre continua, che non accenna a passare, dopo una serie di diagnosi poste dal medico a cui si rivolge e suggerite dai siti internet che consulta, ormai convinto di avere una malattia grave che lo porterà a morte certa e in breve tempo. Per questo la positività del test HIV è per lui inizialmente un sollievo. Ed è forse qui che diventa per lui ancora più evidente il suo scollamento dal “sentire” comune: quella che per gli altri sarebbe una notizia emotivamente devastante, per lui non è che un test con un esito positivo, qualcosa che si porterà addosso per sempre, che cambierà la sua routine, ma di cui non ha la paura che tutti si aspetterebbero. La sua reazione è guardata come anormale, ma Jonathan è abituato ad essere considerato diverso: bambino che vuole giocare con le bambole, balbuziente, “maschio “ che non sa picchiare pur essendo cresciuto in un quartiere di periferia, in cui chi non sa difendersi non ha vita facile, omosessuale, incapace di vivere non solo le storie d’amore, ma anche gli incontri occasionali, con leggerezza.

Ora si trova ad essere malato e, soprattutto nella fase iniziale ancora di incertezza, ad acquisire maggiore consapevolezza di sé e di quello che è stato il suo percorso: “La malattia recinta, scinde, confina chi ne è portatore in una sfera a parte – egoista, impaurita -, lo riporta nell’io-me primordiale che non vede altro che se stesso”.

Inizia così, forse, la spinta a raccontarsi, partendo proprio dall’inizio, dagli affetti e istinti primordiali, ripercorrendo le tappe salienti della sua vita: dall’infanzia difficile in una famiglia problematica, figlia di una periferia ostile, alla giovinezza in cui il tempo era spesso trascorso alternandosi tra le chat e l’ossessiva ricerca della perfezione e del riscatto in ambito scolastico. Un lungo viaggio a ritroso fino all’età adulta, al momento della diagnosi che dovrebbe cambiarti perché ti cambia agli occhi degli altri, ti espone ai giudizi e ai pregiudizi della gente che li usa come qualsiasi altro strumento per esorcizzare la paura. E non importa che sia il 2016 e che il decorso e, soprattutto, l’epidemiologia di questa malattia siano ormai ben noti come molto diversi da quello che si pensava all’epoca della sua scoperta: diventa sempre e comunque pretesto per escludere e segregare, come se questo ipocrita allontanare da sé potesse proteggere dall’esserne toccati.

Jonathan Bazzi non ci sta. Di sé scrive: “Ho contratto l’HIV ma non sono il paziente che prende atto e si adegua, che convive con un segreto che centuplica l’importanza della diagnosi”.

I suoi segreti, al contrario, diventano l’arma per continuare a vivere essendo orgogliosamente se stesso, con pregi e difetti, con le sue paure e le sue capacità, con i suoi errori, i rimpianti e i rimorsi, messi tutti sul tavolo, a carte scoperte. E se non è coraggio questo…

 

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