Le notti di Salem (Salem’s Lot) è un romanzo horror scritto da Stephen King e pubblicato in Italia nel 1990. La casa editrice ‘madre’, la Doubleday, sottopose il libro ad un pesante lavoro di editing per rimuovere le parti più forti, a cui l’autore all’epoca non poté opporsi. Quella che noi leggiamo oggi è quindi una versione ridotta e tagliuzzata, in un certo senso sminuita di quella che doveva essere la Storia di vampiri secondo Stephen King. Il romanzo vendette solo 19mila copie nell’edizione rilegata, ma il successo esplose con l’edizione economica, che vendette più di tre milioni di copie. Scrivo questa recensione dopo la seconda lettura, soprattutto perchè non mi ricordavo del libro. La storia, i personaggi e le vicende erano tutte avvolte da uno strato di nebbia che non mi faceva mettere a fuoco la trama; sì, sapevo che si trattava di una storia di vampiri in una piccola cittadina sperduta nell’america ma stop. Probabilmente anni fa nemmeno mi era piaciuta.
Siamo nel Maine, nell’immaginaria cittadina di Jerusalem’s Lot (chiamata “il Lot” dagli abitanti), denominazione particolare, tanto quanto divertente è la sinossi di questo nome che avrete il piacere di scoprire (vi dico solo che si parla di maiali). Ben Mears torna nella città natale 25 anni dopo e diventa amico dell’insegnante di liceo Matt Burke. Intraprende una relazione sentimentale con Susan Norton, una giovane laureata. Inizia così a scrivere un libro su ‘Casa Marsten’, una magione abbandonata che gli causò molti incubi dopo una brutta avventura vissuta da bambino: infatti per far parte di un gruppo di ragazzi doveva eseguire una prova di coraggio, ovvero entrare in casa Marsten riportando un oggetto che testimoniasse il suo atto di coraggio, solo che durante questa bravata vide il signor Huber Marsten impiccato che lo fissava con gli occhi sgranati. Uno shock terribile per il ragazzo. La dimora dei Marsten è maledetta, si dice che al suo interno vaghi lo spirito del suo proprietario morto suicida dopo aver ammazzato la moglie. Questa prima parte del libro è molto descrittiva dei luoghi e delle personalità degli abitanti del Lot e già si intuisce l’impronta molto gotica che autori come Stoker e Lovecraft hanno avuto sulla formazione letteraria di King. E’ tutto molto affascinante, attraente, quasi come una bella donna dai lineamenti e dalle fattezze molto delicate che nasconde però un orribile segreto inconfessabile.
Non ho mai apprezzato storie di vampiri e licantropi, le trovo tutte uguali e ripetitive ma qui siamo di fronte a qualcosa di diverso; non è la solita solfa della teen-ager umana che si innamora del belloccio della scuola, che in realtà è un vampiro ultra centenario e che cerca di farsi trasformare per rimanere con lui fino alla fine dei tempi (ogni riferimento a Twilight è puramente casuale). No, qui la storia è veramente terrificante e il mostro (Barlow) è davvero spaventoso, capace di compiere atti sanguinosi con estrema lucidità. Un vero anticristo. E’ tutto raccontato con estrema maestria, King riesce ad accerchiarti e penetrare nei meandri più bui del tuo cervello per risvegliare paure oscure che nemmeno sapevi di temere. Posso però dirvi che il finale è molto agrodolce, molto misterioso che lascia aperta la porta a moltissimi scenari differenti. D’altra parte, quale libro del RE non si conclude in questo modo? E’ il suo stile e per sua stessa ammissione: “… voglio che ogni lettore si immagini il finale che preferisce… “. Nonostante fosse una rilettura sembrava la prima volta, tanti particolari nuovi, tanti intrecci di cui non avevo memoria, tanti personaggi conosciuti e che mi porterò nel cuore per molto tempo, tanta ma proprio tanta sostanza. Per quasi la totalità dell’opera sembra di leggere una poesia, un lessico forbito e a tratti quasi ottocentesco soprattutto nella descrizione del Lot, intesa come descrizione della vita quotidiana della gente che ci vive. Ringrazio King per questo meraviglioso racconto, sicuramente il più dark della sua intera produzione letteraria.
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