Questo romanzo è il primo di una serie, che non sappiamo ancora quanto lunga sia, e che ci introduce nel mondo della professoressa Barbara Ferrero, insegnante di inglese in un istituto professionale con la stupefacente capacità di ficcarsi in situazioni pericolose. Ne sa qualcosa il suo amico brigadiere dei carabinieri Stefano Semperboni.
«Stefano era un bell’uomo, alto e ben piantato, che incuteva timore in chi non lo conosceva, con quella sua divisa immacolata e la folta barba scura. Barbara lo prendeva in giro dicendogli che assomigliasse un po’ allo chef Alessandro Borghese, ma lui neanche sapeva chi fosse e faceva spallucce.»
Tutto inizia durante una conferenza al Giardino Botanico Rea di Trana, dove la nostra prof incontra la cugina Luisa. E proprio lì Luisa, dopo aver visto un uomo in mezzo alle persone presenti, le sussurra «Vuole ammazzarmi». Chi è quell’uomo misterioso e perché la cugina lo conosce e teme che voglia ucciderla? E a chi appartenevano le parti del corpo che spuntano in luoghi improbabili?
«Un dito. Tozzo e peloso, probabilmente un indice della mano destra. Sporco di sangue rappreso: mozzato alla base. Il carnevale si avvicinava, ma quel raccapricciante reperto rotolato fuori dal sacco della spazzatura che stava caricando sul camion del Cidiu non era di gomma.»
No, non stiamo leggendo un horror ma un giallo con una vera e propria indagine. Sarà proprio il brigadiere Semperboni ad aiutare la prof, rompiscatole e curiosa, a sciogliere il bandolo di una misteriosa matassa i cui fili sono composti da realtà e leggenda, matassa che rotola ai piedi della Sacra di San Michele, da Giaveno ad Avigliana, al monte Musinè, lungo la linea ideale che unisce i sette monasteri dedicati all’arcangelo Michele. Un mistero in cui l’autrice Mara Barbara Rosso (ma c’entrerà qualcosa questo nome con quello della protagonista?) ci accompagna con una scrittura vivace e piacevole, che non annoia e che ci strappa sovente qualche sorriso.
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