Franco Vanni – La regola del lupo

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Filippo Corti viene ritrovato morto, a bordo del tender della sua lussuosa barca a vela, la mattina del suo compleanno.
Ucciso da un colpo di pistola sparato da distanza ravvicinata.
A bordo della barca del noto imprenditore, quelli che appaiono come i suoi tre migliori amici. Ognuno di loro però nasconde, nemmeno troppo, un valido movente.
Salvatore Cinà, maresciallo dei carabinieri di Bellagio e Steno Molteni, giornalista di un noto settimanale milanese che si occupa di cronaca nera, condurranno due indagini non sempre parallele, per fare luce sui fatti.

È difficile vivere su una barca. L’impossibilità di muoversi liberamente e la mancanza di una vera privacy, le pareti delle cabine sono troppo sottili anche per celare gli incubi, mettono a dura prova anche i rapporti più forti e radicati. Questo non spaventa i protagonisti che compongono le pedine in questo mistero. Invitati da Filippo per festeggiare il suo quarantunesimo compleanno, ognuno dei tre: Marco Michelini, Andrea Castiglioni e Priscilla Odascalchi sono amici d’infanzia della vittima. E i gavoni sembrano non essere sufficienti a contenere il loro rancore nei confronti del vero vincente del gruppo, quello che, nella vita poteva dirsi “arrivato” sebbene a caro prezzo per chi si fosse trovato sulla sua strada.

Franco Vanni conduce l’indagine non solo attraverso i suoi personaggi, chiamati a muoversi tra fatti presenti e passati che si intersecano e confondono. È soprattutto l’analisi della profondità psicologica degli animi, capaci di rivelarsi attraversi riverberi e sfumature appena percettibili, a tessere la trama intricata di questo brillante noir.
Sullo sfondo alle vicende, le linee spigolose di Milano e i toni morbidi e pastello del lago di Como.

Fuggito dalla gabbietta di un’anziana donna, dopo aver sorvolato i boschi rigogliosi del Triangolo Lariano, il cardellino volteggiava nella corrente sopra allo scafo, bianco e immobile sull’acqua scura del lago. Dall’alto, aveva potuto vedere tutta la scena della morte di Filippo Corti, fin dall’inizio. Aveva visto, senza ovviamente capire. Una pura percezione sensoriale, come se a registrare le immagini fosse stata una telecamera montata su un drone, che non rimanda ad alcun monitor.

Fuori dalla finestra la primavera faceva danzare l’aria di Milano. Il polline fitto di Parco Sempione, portato dal vento, vorticava sopra i tetti delle auto parcheggiate e fra i cavi elettrici che alimentavano i tram. Via Mercato, tutta pietra e stucchi, era illuminata dalla luce obliqua del mattino. Sui marciapiedi, gli ultimi irriducibili sudavano nei maglioni di cotone e negli spolverini primaverili. Non volevano arrendersi all’idea che a fine maggio a Milano si sta bene in maglietta.

 

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