“Pensi di capire gli altri, ma non hai capito nemmeno te stesso. Vedi, nel mondo vaghiamo tutti uguali. Tutti omologati. Tutti simili a biglie di vetro che sbattono l’una contro l’altra e si confondono. Il bimbo che le muove, magari, ha appioppato un nome a ognuna di loro, ma alla fin fine sono tutte uguali e non sa più riconoscerle. Anche se prendono direzioni diverse, le biglie fanno gli stessi movimenti e, se nel pavimento c’è una pendenza, si incanalano verso un unico punto. Io sono una biglia diversa, magari mezza rotta, il vetro sarà pure scheggiato, ma prendo la direzione opposta da quella della massa. Seguo il mio istinto. È facile, ma ci vuole il coraggio di abbattere la gabbia che ci siamo costruiti con le nostre mani. Gli agi, le abitudini, la Fiat presa a rate, il mare in Liguria, la casa di tot metri quadri, lo stipendio a fine mese, la famiglia. Tutti incapsulati. Tutti uguali. E tu sei come loro. Sopravvivi, ti trascini ma non vivi.” (cit. Sandra Poggi)
Di ritorno da un viaggio nel tempo nella Milano del 1973, passando per Bologna e Venezia, quasi come in uno di quei vecchi film polizieschi, eccomi a descrivere i miei pensieri su questo secondo romanzo di Davide Pappalardo, dove incontriamo di nuovo quel simpatico, scalcagnato personaggio che è Libero Russo, un investigatore privato un po’ sui generis, siciliano, trasferitosi al nord, nostalgico della sua terra. Lo ritroviamo più pulito, quasi più serio e responsabile (sto forse azzardando) rispetto a quando l’avevamo lasciato in “Buonasera, signorina”.
Uno stile un po’ cambiato, forse più posato, quello dell’autore, che mantiene il suo tono scanzonato, il suo cinismo e il suo lato burlone. Anche per questo romanzo non darò un’etichetta di genere perché non si può definire noir, giallo o hardboiled, ma una miscellanea di tutti e tre.
Dalle finestre e dai locali le canzoni di Buscaglione fanno da sfondo alle vicende dal fare strampalato del nostro investigatore che riesce sempre, suo malgrado, a ficcarsi in qualche faccenda losca e in guai da risolvere, con tipi poco raccomandabili. Nientemeno, stavolta dovrà dare la caccia ad una giovane, evanescente figura femminile che risponde al nome di Sandra, (o forse ad altro nome?) una tipetta piuttosto conturbante, personaggio interessante che riuscirà ad ammaliare, non potevamo avere dubbi, anche il nostro Libero.
“Al centro c’era una fontana. Lei ballava da sola, lì. Nei pressi di quella pozza di marmo. Danzava un ballo senza musica. O forse la Musica era il vento che le faceva svolazzare quel vestito blu e giallo. Le livree del pesce angelo imperatore. Cantava ‘Un bacio a Mezzanotte’.”
Ragazza sfuggente e pericolosa, spirito libero, Sandra, con il suo fare camaleontico riuscirà a farsi trovare e poi di nuovo sfuggire dalle mani di Libero, in un avvincente gioco di guardia e ladri. La spalla robusta e non sempre richiesta dello storico ex collega poliziotto, Marione, è un punto di forza della narrazione, ma la protagonista indiscussa è sicuramente Sandra, sebbene paradossalmente sia fisicamente poco presente nel romanzo!
Perché sfugge? Perché è così pericoloso per Libero averla vicino? Cosa c’entrano con lei i movimenti neo fascisti (non a caso ci troviamo negli anni caldi della politica sociale) e uno strano strizzacervelli? E perché per trovare la ragazza quel tipo losco e misterioso ha contattato proprio Libero?
Non posso svelare nulla della trama perché toglierei tutto il gusto delle sorprese che si rivelano quasi alle ultime battute, passando da personaggi con importanti incarichi sociali ad altri provenienti dai bassifondi: ce n’è per tutti i gusti!
Lascio dunque a voi tutte le risposte, se mai le troverete realmente e vi invito a scoprire… Che fine ha fatto Sandra Poggi!
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