Confesso che il primo approccio con questo libro aveva un forte sapore di “non ce la posso fare”, e immagino di non essere stata l’unica lettrice a inciampare in questa sensazione che, se presente, merita di essere superata. Perché?
Perché I fratelli Michelangelo è un romanzo denso. Seicento pagine ricche di personaggi, registri linguistici, riferimenti storico-letterari che caratterizzano la storia della numerosa, allargata e disfunzionale famiglia di Antonio Michelangelo, uomo egocentrico che non si è fatto mancare nulla. Una carriera brillante, significativi riconoscimenti in campo artistico, quattro compagne diverse da cui ha avuto cinque figli, ai quali però ha fatto mancare qualcosa: la presenza di un padre che, anche nei panni del grande assente, riesce a influenzare le loro vite.
A dare il via alla narrazione è una riunione avvolta nel mistero organizzata dallo stesso Antonio, ormai anziano, che invita tutti i suoi figli a ritrovarsi a Vallombrosa, non lontano da Firenze.
Enrico, Louis, Cristiana e Rudra, impegnati nella ricerca di sé e del proprio posto nel mondo, decidono di partecipare all’incontro, intraprendendo di riflesso un cammino interiore a due direzioni: una proiettata verso il futuro e la realizzazione – o forse sarebbe meglio dire la rivalsa? – che ciascuno di loro sta ancora cercando, l’altra rivolta al passato, ricostruito attraverso una lunga serie di flashback e flussi di coscienza.
Cosa siamo poi, siamo quello che abbiamo fatto, quello che abbiamo letto, che abbiamo detto? Siamo quello che abbiamo ricevuto in eredità? Eredità di geni o di pratiche, o di modi d’essere? Siamo la nostra educazione, siamo chi abbiamo amato, chi è che diceva quest’altra stronzata… Siamo l’idea che gli altri hanno di noi, siamo quello che c’è scritto su Internet di noi […] Siamo l’idea che abbiamo di noi stessi, pure, ma se questa idea salta, perde un giro, s’incrina?
Parallelamente, tra le pagine si viaggia di continuo toccando le località più disparate, italiane, europee e non solo. Scenari, culture e idiomi cambiano con una frequenza tale da permettere anche al lettore di percepire un movimento costante, dove lo stesso concetto di “casa” perde l’accezione puramente statica a cui, in effetti, siamo sempre meno abituati anche nella realtà.
Pur con argomentazioni diverse, i fratelli Michelangelo giungono a chiedersi quale sia oggi la loro “casa”, luogo sempre più difficile da circoscrivere, ormai geograficamente e emotivamente distante dalle loro già fragili radici.
Ho riflettuto molto su come concludere questa pagina di appunti, alla fine ho scelto di farlo utilizzando tre aggettivi che mi hanno accompagnato lungo l’intera esperienza di lettura: introspettivo, eterogeneo, strutturato.
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