Teresa Battaglia, per chi non avesse letto il primo romanzo giallo di Ilaria Tuti, Fiori sopra l’inferno (scheda | recensione), è un commissario di Polizia esperto in profiling. Ha sessant’anni, un passato personale tormentato e infelice sebbene ricco di successi dal punto di vista professionale e sta precipitando lentamente nel gorgo senza memoria o speranza del morbo di Alzheimer. Eppure Teresa non si arrende. Sa di valere, di possedere qualità particolari di empatia e una sensibilità quasi paranormale, di essere in grado di sentire e percepire il male e i suoi autori anche quando la sua mente intaccata dal morbo vorrebbe ingannarla e cedere le armi. È una guerriera il che non la mette al riparo dalla paura o dal commettere sbagli. È un essere umano a tutto tondo, una donna che non teme le critiche rivolte a se stessa o quelle che ritiene si meritino i suoi sottoposti. Per combattere la demenza incipiente ha messo in atto una serie di ingegnosi stratagemmi che, a parer mio, la rendono ancora più simpatica e commovente nella sua lotta disperata contro una malattia che non lascia scampo a nessuno.
Il suo braccio destro si chiama Massimo Marini. È un giovane ispettore con tutte le carte in regola e in lotta, come il suo capo Teresa, con un cupo fantasma del proprio passato. Lo abbiamo incontrato in qualità di new entry nel primo libro e lo ritroviamo in questo. Preciso, perfettino come lo definisce Teresa, un po’ rigido e dogmatico forse, ma vivo e sanguigno quanto basta.
Il suo rapporto con Teresa, composto di battute secche e talvolta velenose, si è fatto più ricco e profondo. Si sfidano, si insultano, si contrastano, ma l’affetto e la stima che li legano sono palpabili e profondi.
Questa volta sarà un quadro bellissimo e misterioso, il suo pittore ormai novantenne e silenzioso e un nuovo delitto forse legato alla morte della donna raffigurata nel quadro, a trascinarli indietro di settant’anni nella Valle di Resia, in Friuli, un universo sconosciuto a molti e intrigante come pochi.
Seguendo quello che a buon diritto può definirsi un cold case, Ilaria Tuti ci invita a conoscere la storia di un’etnia, quella dei resiani appunto, che non ha uguali al mondo e le cui origini si perdono nella notte dei tempi e in terre lontanissime dall’Europa. Lingua, costumi e tradizioni di questo popolo, per errore assimilato agli slavi, sono uniche, come unico e riconoscibile è il loro DNA che ancora porta inscritta la loro provenienza dalle steppe dell’Asia Centrale.
Ilaria Tuti ha una scrittura immaginifica e molto particolare. I luoghi sono descritti più che per il loro aspetto, per le atmosfere che rappresentano e comunicano a protagonisti e comprimari. La natura ha un ruolo preponderante nella storia. Alberi, animali, forre, anfratti e esseri umani sembrano e sono legati a doppio filo e vivono insieme, con dolore, partecipazione, colori e mutamenti atmosferici lo svolgersi della vicenda. A questo si mescola l’indagine, complessa e ben articolata, e un corposo studio antropologico della comunità resiana a carattere decisamente matriarcale.
Nella sua indagine Teresa Battaglia troverà aiuto in Blanca e nel suo cane Smoky addestrato nella Human Remains Detection, sarà ostacolata dal nuovo questore Albert Lona, sua vecchia e non amata conoscenza, e dovrà infine salvare Massimo Marini dal fantasma che lo perseguita restituendolo a un futuro pieno di speranza.
Un libro ricco, bello e complesso che non mancherà di affascinare chi ama non solo un’ottima trama gialla, ma apprezza la possibilità che l’autrice ci offre di conoscere riti e culture straordinari e così vicini a noi.
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