Jonathan Coe – Middle England

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“Adieu to Old England, adieu/ And adieu to some hundreds of pounds/ If the world had been when I was young/ My sorrows I’d never had known […]”. Il romanzo si apre e quasi si chiude , riprendendo in chiave ironica le strofe di questa canzone del 1974 di Shirley Collins, emblema nazionale di quell’Inghilterra che non c’è più. Uno dei protagonisti, Benjamin, la ascolta la sera del funerale della madre, evento che dà inizio alla narrazione, senza però riuscire a terminarla, vinto dalla commozione e dal ricordo. La ascolta nuovamente nelle ultime pagine del romanzo, quando una nuova vita si affaccia all’interno della sua famiglia: la tanto adorata nipote Sophie, che insieme al marito Ian diventano una delle coppie simbolo della situazione sociale nella moderna Inghilterra, darà alla luce un bambino a fine marzo del 2019: sarà il loro bellissimo bimbo Brexit. E, su questa allusione quasi irriverente, Jonathan Coe scrive la parola fine.

Solo giunta alla “Nota dell’autore” scopro che “Middle England” riprende alcuni personaggi già presenti in due precedenti romanzi di Coe, “La Banda dei Brocchi” e “Circolo Chiuso”. Pur non avendoli letti, “middle England” ha avuto uno scorrimento fluido e a tratti “illuminante”. Il romanzo racconta l’Inghilterra e la sua evoluzione sociale e politica dal 2010 ai giorni nostri. Sembra che l’autore lo abbia terminato ieri. La narrazione parte dal dopo Brown, analizzando dal punto di vista delle vicende personali i tumulti del 2011 e le Olimpiadi del 2012, fino a giungere a Teresa May e la proposta della Brexit. O della Brixit, come si afferma, ridicolizzando al massimo l’esasperato patriottismo dei nazionalisti convinti (“Non sarebbe la Brixit? British – Exit?” “Si ma i Greci l’hanno chiamata Grexit…” “Si ma poi non sono usciti. E poi comunque noi non siamo Greci, siamo Inglesi. Quindi sarà la Brixit!”). Una delle frasi con cui i libri di testo italiano adorano definire l’Inghilterra è “England is a melting pot of different cultures”. A melting pot, un grande pentolone, un guazzabuglio in cui convivono indiani, africani, italiani, polacchi, russi, cinesi, sudamericani e… inglesi. Se prendi la tube alle 7 del mattino, direzione city è probabile che tu senta odore di kebap o di curry mescolarsi a quello dell’acqua di colonia e al profumo tutto loro delle rotaie. Se questo ci sembrava un favoloso esempio di integrazione e civiltà, abbiamo scoperto, con l’avvento di Mrs Teresa May, che era solo la facciata decorosa di ciò che la parte più conservatrice e poco tollerante dell’Inghilterra mostrava al resto del mondo. E così le pagine di Coe sono colme di variopinte descrizioni che incarnano diverse tipologie di umanità: ci sono Colin ed Helena, ultrasettantenni iperconservatori che non si danno per vinti e non riescono a celare la loro intolleranza razziale; Ian giovane, bello, anglosassone fino al midollo e open-minded finchè la promozione che credeva di meritare non viene data alla collega asiatica e per giunta donna; Sophie, baccalaureata insegnante universitaria, che ama l’arte e la raffinatezza negli oggetti come nell’animo umano e finisce col ritrovarsi con un marito ottuso e così diverso da lei; Coriander, figlia dell’Inghilterra che conta, dell’alta società, che disprezza il mondo che l’ha generata e contesta tutto e tutti per il solo gusto di urlare il disgusto che prova. E poi Benjamin. Benjamin lo scrittore, che vive in un mulino sulla riva del fiume, che si incanta a guardare ogni singolo corso d’acqua gli capiti a tiro, che continua a prendersi cura del padre bisbetico e odioso, che ritrova amici mai più visti per oltre quarant’anni, che pensa al suo amore finito per una donna che lo ha abbandonato da solo in quel mulino che avevano scelto insieme. Benjamin che scrive un libro per oltre trent’anni, cinquemila pagine di vita che si intrecciano alla storia del Paese dagli anni ’70 al 2017 e che alla fine si vede scartare tutto quello che secondo lui contava: la sola parte che si salva e diventerà realmente un romanzo è la sua triste storia d’amore, che comunque occupa duecento pagine. Il libro ha successo e lui si stupisce. “Perché?” si domanda “a chi può interessare?”. La risposta non arriva in maniera esplicita, ma al lettore attento appare lampante: la gente, i lettori, difficilmente vorranno confrontarsi con i loro problemi. La storia, i disordini sociali, il razzismo come grande raccoglitore di consensi e voti… meglio una storia d’amore, anche senza un lieto fine.

Leggere “Middle England” alla soglia dell’imminente uscita dell’Inghilterra dalla Comunità Europea e con le notizie fresche di dissenso popolare degli ultimi giorni fa molto riflettere. Fa riflettere anche chi come me vive in un Paese che, negli ultimi mesi, sta fomentando l’incomprensione del diverso da sé, la lotta al politicamente corretto e all’umanamente accettabile. Che differenza c’è tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato se la guerra si combatte a suon di post sui social e hashtag?

Middle England… Middle Italy… Brexit… Grexit… che differenza c’è?

 

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