Luoghi di libri

Diego Collaveri – La bambola del Cisternino

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“Il sudore scendeva lento, scivolando sulle guance. Una leggera brezza penetrò dalle aperture in alto, portando l’odore d’erba bagnata dalla pioggia. L’aria umida sembrava stringermi la gola, quasi volesse strozzarmi. Un tubare, proveniente da sopra il tetto, disturbava a tratti col suo brusio sommesso il pesante silenzio che galleggiava intorno.[…] «Non è così che deve finire» dissi dispiaciuto.«Non esiste altro modo» rispose. Eravamo solo noi due, immersi in quella cappa immobile d’aria e polvere che ci avvolgeva. Fermi, inerti; statue contrapposte e riflesse nella medesima posizione.”

 
Inizia così questa nuova indagine del commissario Mario Botteghi con la quale l’autore ci fa incollare alla storia fin da subito per non darci tregua fino all’ultima riga.

 
Tutto parte dal ritrovamento del cadavere di una prostituta nei pressi del Cisternino, il vecchio acquedotto di Livorno, che sembra sconvolgere il commissario. Una strana sensazione fa risvegliare in lui certi ricordi legati alla sua infanzia che non riesce però a mettere a fuoco. Solo una vecchia canzone (“La bambola” di Patty Pravo) risuona costantemente nella sua testa e negli incubi notturni che lo accompagnano sistematicamente ogni notte. Il caso diventa per lui quasi un’ossessione: scoprire il colpevole di quell’omicidio è ormai una questione personale. A complicare l’indagine si aggiungono altre morti legate a certi appalti edili di una ditta di ristrutturazioni. Un regolamento di conti? Strani traffici di sostanze pericolose o droga? Ci sarà un denominatore comune per questi omicidi? Il Commissario si troverà ad affrontare una difficile ed intricata indagine con uno stato d’animo che è tra i peggiori che si possa immaginare. Un uomo tormentato dal suo passato [“Il buio che mi portavo dentro sembrava divorarmi,mentre il mondo intorno si nutriva gioioso di ogni microscopica semplice cosa, spensierato come su di una giostra che gira inesorabile, senza sosta, senza fermata.”], cerca nel suo lavoro, che ormai odia, una via di scampo perché è l’unica cosa che gli sia rimasta. Il tormento, la malinconia che annega spesso nell’alcool, la nebbia che lo avvolge (data anche dal fumo delle sigarette che fuma in quantità esponenziale), fanno sì che il lettore trovi un’empatia inevitabile. Non si può non provare affetto per Botteghi: si lotta con lui, si indaga insieme alla sua squadra composta da ottimi elementi: il giovane e promettente Mantovan, Busdraghi, detto Panzer, dalla saggezza spicciola che lo sorprende, valida più di quella di un profiler professionista e Bertini il medico legale con il quale ha continui battibecchi arcigni che celano una grande stima reciproca. Tra le figure femminili che gli ruotano attorno, una in particolare mi piace moltissimo: Mariella, amica e confidente che gestisce la trattoria “La Boa”, un nome sicuramente non dato a caso considerando il ruolo della donna nella vita del commissario: un rifugio per lui, un punto di attracco per i suoi frequenti momenti di tempesta. Ultima protagonista, non per importanza, la città di Livorno vecchia e nuova. Descrizioni nostalgiche di un passato ormai sovrastato dalla modernità lasciano la curiosità, per chi non la conosce, di volerla visitare! Non voglio aggiungere altro, se non sottolineare la capacità dell’autore di descrivere così bene il dolore, di prendere in mano il cuore del lettore per farlo lentamente a filetti, lasciandolo stremato.

 

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Un intreccio giallo dalle tinte molto noir, scritto egregiamente che ci lascia con un finale spiazzante e con un unico filo che lega l’intera vicenda: i personaggi della storia devono fare i conti con un passato che li ha resi schiavi di qualcosa, impedendone la libertà, alla ricerca del riscatto da una vita che non appartiene, un riscatto che spesso non arriva e che trascina con sé dolore e solitudine. Eccellente lavoro Diego Collaveri. Alla prossima indagine, appena il mio cuore si sarà cicatrizzato!

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Francesca Battistella – La stretta del lupo

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Nuovo viaggio con Francesca Battistella. Primo libro con la presenza di una profiler donna: Costanza Ravizza. Ricordate giusto, se avete letto la mia recensione de “La bellezza non ci salverà” terzo uscito con la presenza della profiler: vi ho già parlato di questo personaggio.

Ne “La stretta del lupo” abbiamo modo di conoscere a fondo il gruppo che con Costanza, sarà la presenza fissa dei due successivi libri usciti; imparerete a conoscere Alfredo e Teresa Filangieri, la nipote Letizia, l’amica Eugenia, Moussa e Carmelina i due domestici delle rispettive case Filangieri.

Siamo a Orta, dove tutto inizia, dove le storie si intrecciano, dove troviamo amicizie, amori, ma anche rancori e sotterfugi; la vita sul lago scorre, ma non sempre serenamente: troveremo tre delitti e la brava e bella profiler avrà filo da torcere per far emergere dettagli e comporre il puzzle per arrestare il killer.

Vado oltre la storia, perchè di Francesca io amo la scrittura, questo scorrere rapido e determinato delle parole, che mai fanno giri inutili, che non si perdono in riccioli strani per depistarti, che ti portano sempre dritto al punto, che sdrammatizzano quando creano di fantasia, quando si mischiano i dialetti a un italiano pulito e diretto. Quando leggo i libri della Battistella, mi sembra di essere direttamente dove lei vuoi farmi essere: avete presente la magia di New York? Chi l’ha vissuta saprà quello che dico, la vedi in tv, e quando sei là è una magia, ti sembra di essere in un set cinematografico e invece è la vita reale: per i libri della nostra autrice mi succede lo stesso.

E’ riuscita a creare i personaggi che popolano le sue storie, con dei tratti da rappresentazioni teatrali: ognuno ha le sue criticità e i suoi lati positivi, ma tutti insieme creano un’armonia e un dinamismo che arrivi all’ultima pagina senza essertene accorto.

Ho amato Napoli ne Il re di bastoni, in piedi, e ho vissuto e amato Orta ne la Stretta del Lupo. Leggeteli, non vi pentirete e non vi stuferete dei personaggi della famiglia Filangeri: sono una sana cura per il cuore, credetemi!

 

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Elizabeth Laird – Welcome to Nowhere

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Il dodicenne Omar vive nella ridente e vivace città di Bosra in Siria. Il suo idolo è il cugino Rasul che aiuta nel negozio di souvenir dopo la scuola: da grande vorrebbe entrare in affari con lui e diventare ricco. Lo spirito imprenditoriale non gli manca, semmai Omar non ama la scuola e la frequenta poco volentieri. La sua famiglia è benestante: Omar ha altri quattro fratelli, due più grandi e due più piccoli di lui, una madre che cucina piatti deliziosi e un padre che lavora al Ministero per l’Agricoltura. Tutto scorre in una clima apparentemente normale fino al giorno in cui la sua vita e la sua città vengono sconvolte da una parola: guerra. La Siria è in guerra e quello che doveva essere uno scontro veloce per placare alcuni ragazzini irriverenti, che si erano messi a giocare agli oppositori col Governo, diventa un vero e proprio massacro. Omar perde tutto e deve trasferirsi con la famiglia prima a Daraa e poi in un villaggio rurale in cui la vita è molto diversa da come era stato abituato fino ad allora. Ogni spostamento porta via un po’ di identità, ricordi, speranza: non importa quanto si possa scappare lontano, l’ombra della guerra non lascia scampo. Non esiste più un luogo da poter chiamare casa, ma soltanto un enorme cumulo di tende nel Campo di Accoglienza di Za’atari che diventa la loro salvezza e la loro prigione.

Omar e i suoi fratelli crescono e affrontano difficoltà che fino a poco tempo prima sembravano lontane e sconosciute: la loro vita non esiste più. Bisogna ricominciare da capo. Ma come si fa a ricominciare quando non si può tornare a casa? “Nowhere” è un non-luogo in cui i sogni, le speranza, la rabbia e i conflitti di un ragazzino prendono forma e ci vengono narrati dal suo punto di vista di dodicenne con una naturalezza e una confidenza tale da far davvero capire al lettore come ognuno di noi sarebbe potuto essere Omar. In fondo la parte del mondo in cui si nasce non è un calcolo matematico, ma una questione di pura fortuna e la fortuna non è uno stato di diritto.

Elizabeth Laird, scrittrice per bambini, pubblica questa volta un romanzo young-adult, basato su storie ed eventi che non sappiamo o non vogliamo conoscere più a fondo: la voce del suo Omar arriva dritta e come la lama di un coltello squarcia il velo che ci offusca la vista. Fortemente consigliato anche ai lettori più adulti.

 

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John Williams – Stoner

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Prima di addentrarmi nell’analisi di questo libro, devo un doveroso e sentito ringraziamento ad una cliente, lettrice accanita come me, che un giorno mi ha prestato questo scritto dicendomi “provi a leggerlo”. Ebbene, dopo un periodo relativamente lungo, durante il quale ha sostato su una pila di libri che aspettano la mia lettura ed è stato traslato dopo altre più avvincenti storie, posso dire che avrei dovuto leggerlo nello stesso istante in cui è transitato tra le mie mani. Quindi grazie.

Parlare di capolavoro è abbastanza riduttivo, forse si addice di più un semplice “geniale”.

Baserò le mie riflessioni tenendo come punto di riferimento la postfazione di Peter Cameron. Una storia banale insignificante, chiara fin dalle prime righe, ma l’opera d’arte è il lavoro che lo scrittore fa descrivendo la vita di William Stoner, una storia unica, profonda.

A fine lettura la prima cosa che ho analizzato è stata la scrittura, pacata, sensibile, sembra di volteggiare tra le pagine del romanzo, di essere presente nei sentimenti e nelle azioni di Stoner. Spesso si ha la sensazione di doversi inserire nella scena per prendere le parti del personaggio, per difenderlo dalle cattiverie della moglie e del collega, tanto che, non riuscendoci, si resta amareggiati e depressi, quando è chiaro che lui non avrà reazioni immediate per proteggersi.

Si possono trasformare in filoni ben distinti i rapporti umani che Stoner ha con tutti i personaggi che lui incontra mentre gli anni passano nella sua vita. Tratta la vita e la morte con una maestria incredibile.

Ci sono passaggi e descrizioni nel romanzo che mi sono rimasti indelebili nel cuore: la razionalizzazione della morte del suo amico Dave in guerra, quella guerra a cui lui non ha voluto partecipare, ma che lo sconvolge e cerca di paragonare e comprendere attraverso quella morte descritta nella letteratura che lui studia. La sistemazione del suo studio nella casa nuova, che lui crea a sua somiglianza quasi dovesse iniziare una nuova vita. La descrizione del rapporto con l’amata figlia, perfetto fino a quando la moglie non lo guasta e che lui descrive impotente senza opporre nessuna resistenza a quell’allontanamento che lui subisce, ma di cui poi capirà di avere pagato conseguenze troppo alte sia lui sia la figlia.

La descrizione dell’amore per Katherine: “la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è la fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”. La capacità di descrizione della propria morte, lo spirito che esce dal corpo, la parte della sua vita finita con la partenza del suo grande amore.

Un romanzo che lascia senza fiato, una lettura che è articolata per trasformare una vita povera e insignificante in una ricca e piena di personalità.

Vi lascio trascrivendo una frase che all’inizio del libro mi ha colpito moltissimo “certe volte, immerso nelle sue letture, lo assaliva la coscienza di quante cose ancora non sapeva, di quanti libri non aveva ancora letto. E la serenità tanto agognata andava in mille pezzi appena realizzava quanto poco tempo aveva per leggere tutte quelle cose e imparare quello che doveva sapere.

La prima stampa del libro risale al 1965. …… ancora grazie!

 

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Sujata Massey – Le vedove di Malabar Hill

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Sujata Massey, madre tedesca e padre indiano, ha studiato scrittura creativa ed è stata reporter per il Baltimore Evening Sun. Con Le vedove di Malabar Hill inizia un’intrigante serie di gialli ambientati negli anni ‘20 a Bombay, l’odierna Mumbai, che vedono come protagonista una giovane procuratrice legale della comunità Parsi, coraggiosa, intraprendente e dal passato complesso.

Perveen Mistry, benché personaggio di fantasia, si ispira alle prime avvocatesse indiane la cui vita è stata irta di difficoltà a causa dei molti e pesanti pregiudizi legati alla scarsa considerazione concessa alle donne all’inizio del secolo appena finito, e non solo nella lontana India. Incontreremo Perveen alle prese con tre vedove musulmane purdahnashin (donne recluse in casa a vita) e un controverso testamento; la morte violenta dell’amministratore dei beni di famiglia; la sparizione della figlia di una delle tre e altri misteriosi accadimenti che l’indomita protagonista, aiutata dal padre celebre principe del foro e da Alice, inglese e sua amica del cuore, si troverà a fronteggiare.

Sujata Massey, con maestria e perfetta padronanza della storia e dei costumi dell’epoca legati alle diverse etnie e religioni, conduce il lettore all’interno di un mondo straordinario e affascinante.

Possiamo solo augurarci che questo sia il perfetto inizio di una lunga serie di inchieste della simpatica e spregiudicata Perveen.

 

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