C’è un bambino. C’è un nonno. E già questi sono ingredienti che apprezzo tanto, debolezza mia.
C’è che non si sono mai conosciuti prima. Ci sono un sacco di storie, passate e presenti. C’è la montagna, con i suoi misteri. Ci sono storie di guerra, storie di famiglia e di fumetti.
Vite lontane che si intersecano fino a fondersi in un palcoscenico unico. Continui rimbalzi temporali dipingono un quadro complesso di tre generazioni senza mai lasciarne sbavare i colori.
Tanti personaggi, tante avventure; la graniticità della montagna d’estate che si mescola alla volatilità delle immagini dei supereroi. La vorace ed immacolata curiosità di un bambino che si fonde con l’aspra vita di un vecchio burbero. Fino a dare vita ad un dipinto a quattro mani, inaspettatamente perfetta rappresentazione multigenerazionale.
Tanto ben amalgamato da lasciar confondere, a tratti, la vita di nonno Simone con quella di Zeno.
E poi c’è la forza vacillante di un legame solido tra padre e figlio, che alla convivenza tra nonno e nipote quasi fa da sottofondo, insieme ai dischi jazz. Ma anche le avventure adolescenziali, le nuove amicizie e le giovani promesse di amore eterno, facili espedienti di una generazione spensierata. A fare da contrasto, questi, con racconti di fughe, rastrellamenti, bombe, perdite inaspettate e difficoltà familiari, assai comuni nelle generazioni precedenti.
Non c’è dubbio, Fabio Geda è uno di quegli autori capaci di farti entrare dentro le storie, di farti andare a passeggio con i suoi personaggi. Di renderti partecipe delle situazioni e di farti sentire parte integrante degli ambienti. E naturalmente di farti rammaricare quando arrivi alla fine del libro. Perché poi viene da chiedersi che fine ha fatto questo o quell’altro personaggio, e invece no, volti pagina e ti resta solo la quarta di copertina e null’altro.