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C’è un po’ di tutto in Divorare il cielo. La spensieratezza delle vacanze da adolescenti. La forza struggente di sentimenti capaci di divorare l’anima. I drammi e le contraddizioni di una giovinezza anticonformista. L’eccesso di spiritualità e di una natura vissuta in maniera estrema.
Tutto raccontato con gran ritmo e incontrollata turbolenza emotiva da Teresa.
Dalla regolarità della vita torinese alle rituali vacanze in Puglia. Nuovi legami ed esperienze al limite dell’esoterico. Bern, figlio non figlio, fratello non fratello, tanto inaccessibile da risultare irresistibile. Il fascino misterioso di inconsueti concetti di spiritualità. E l’estremo rispetto per la Natura, prima di tutto.
Poi si cresce. I legami sembrano sgretolarsi per poi tornare a saldarsi in maniera ancor più solida. La masseria al centro di tutto. E ancora quella sorta di rispetto accecante, fin fastidioso, nei confronti dei ritmi della natura; roba che, a confronto, il biodinamico risulta pratica invasiva.
Ma ormai anche la vita di Teresa è diventata quella roba lì. Forse per convinzione, forse per compiacere Bern e i suoi compari. Una simbiosi apparentemente perfetta tra donna, uomo e natura; dov’è quest’ultima, però, a dettare i ritmi.
Vent’anni di Teresa scanditi a ritmo notevole alternando episodi vissuti in prima persona a racconti in flashback; il tutto a comporre un puzzle letterario avvincente e ben congegnato. Personaggi interessanti, quelli che ruotano intorno alle figure di Teresa e Bern. E tanti risvolti amari in una storia sentimentalmente tutt’altro che lineare.
Passa in fretta, il libro di Paolo Giordano, come i bei libri. E lascia in bocca il gusto agrodolce di quando non capisci bene se il finale sia ciò che avresti voluto oppure no. Perché, va bene tutto, ma per fare una cosa del genere non devi essere proprio in quadro…