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Metti quattro anime in cerca di se stesse a zonzo tra New York ed il New Jersey.
Metti un angelo custode alla loro guida. Metti a confronto quattro drammi personali tanto profondi da indurre a mollare tutto. Metti l’opportunità di una seconda possibilità.
Fondi tutto con una regia impeccabile ed un ritmo di quelli che ti obbligano a sacrificare preziose ore di sonno per scoprire cosa c’è dopo.
Ecco, Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese è questa cosa qui. Una settimana di viaggio di quattro disperati che hanno appena deciso di farla finita. Uno sguardo diretto e incontestabile a ciò che si è deciso di lasciare. Con la fantastica possibilità di capire e, volendo, di tornare indietro.
Uno di quei libri che ti fa chiedere “Che fine fanno i personaggi di un romanzo dopo che questo è finito?… È un po’ come se morissero“. Ma anche no.
C’è di tutto un po’, qui dentro. L’inquietudine ed il disagio di ciascuno verso la vita e i propri drammi. L’apparente incapacità ad affrontarli. La difficoltà e le conseguenze di scelte che sembrano salvare noi stessi e che pesano come macigni su tutto il resto. Luoghi ben caratterizzati e musica, tanta musica.
Passaggi comici, a tratti commoventi; pugni nello stomaco, dati con leggerezza, per chi entra nel racconto e si immedesima nei personaggi.
Una storia tanto finta, tanto impossibile, da apparire vera. Da volerci credere.
Non tutto andrà sempre bene. A volte quasi mai. La vita è una prova continua. A volte sta stretta. Basta non smettere di credere nella felicità. E provare a crescere.
Affidarsi al proprio angelo custode, lasciarsi guidare: “Io non posso garantirvi che sarete felici. Un giorno sarete la lucina accesa, un giorno quella spenta, l’unica cosa davvero importante è che abbiate nostalgia della felicità. Solo così vi verrà voglia di cercarla“.